
… resta della sua scrittura soltanto un foglietto con una nota della spesa.
Poco più di tre mesi fa, il 7 dicembre 2019, camminavo da sola per le strade di Verona. Un giorno che, oggi come oggi, mi sembra dietro l’angolo e allo stesso tempo lontano secoli, speso in giro tra i mercatini natalizi, in attesa di una bella serata a teatro. È stato anche il giorno in cui finalmente ho trovato lei. Aspettavo di incontrarla da oltre un anno, da quando avevo letto la sua storia in un bellissimo libro di Dacia Maraini.

Sappiamo che a Isolina piaceva ballare, piaceva uscire la sera, piaceva avere amiche e corteggiatori. Suo padre dice di lei che aveva il diavolo in corpo e doveva essere vero perché tutti la descrivono come allegra, affettuosa, vivace, insofferente di ogni disciplina, curiosa, intelligente. Dalle poche cose che ci dicono di lei viene fuori fra l’altro una persona dall’animo gentile, infantile, golosa di divertimenti ma non cinica né maligna.
È una storia cruda, quella di Isolina Canuti, uccisa a Verona a diciannove anni, insieme al bambino che aspettava. Secondo le ricostruzioni di Dacia Maraini, la morte avvenne durante un maldestro tentativo di farla abortire (con una forchetta…), da un gruppo di ufficiali dell’esercito. Tra loro, il suo ex amante, il padre del bambino, il tenente Carlo Trivulzio, proveniente da una buona famiglia di Udine. Accadde in una trattoria, dopo la fecero a pezzi e la gettarono via come spazzatura, dentro tanti sacchi, nelle acque dell’Adige, che iniziarono a restituire i suoi resti intorno alla metà del gennaio 1900.
Isolina e il suo bambino non hanno mai avuto giustizia. Trivulzio fu arrestato e poi rilasciato. In seguito ci fu un processo, ma l’imputato era Mario Todeschini, direttore di un giornale, querelato da Trivulzio per una serie di articoli che puntavano il dito contro di lui. Isolina ne venne fuori come quella che se l’era cercata. Colpevolizzata, vilipesa. Uccisa due volte. Eliminata come uno scarabocchio scomodo. Non ha neppure una tomba. La ragazza cancellata.
Di Isolina non ci sono tracce. Per i registri comunali non è mai esistita. Forse è nata ma non è mai morta.
Vicolo Chiodo. Sapevo che l’avrei trovata lì. Dove c’era la trattoria del Chiodo, ora scomparsa, il luogo del suo assassinio. Ho percorso le vie decorate dalle luminarie, allontanandomi dal brusio della folla, l’atmosfera un po’ più silenziosa, addormentata. E finalmente eccola.

Un profilo femminile, laggiù, solitario. Un bassorilievo ferito dagli anni e dalle stagioni, eppure con una delicatezza che trascende la pietra. Secondo le credenze popolari quel profilo appartiene a lei, Isolina.
Difficile spiegare l’emozione che ho provato. Per un attimo ho visto sovrapporsi passato e presente: quel muro segnato da qualche scritta rimossa con una mano di vernice, quei bidoni della spazzatura… Il tempo che scorreva intorno ad Isolina. Anche intorno a me. Sono rimasta per un po’ a contemplare quel profilo, ignara della città, dell’ora, della data. È stato un piccolo dialogo senza parole, con la ragazza cancellata, con quella piccola testa scolpita.
Una storia cruda, come già ho scritto. Una storia che, in versioni diverse e tuttavia uguali, continua a ripetersi. Ma anche una storia con un pizzico di speranza. Perché una giovane donna è stata cancellata, ma un’altra donna, una donna più fortunata, libera, dopo decenni, ha deciso di raccontarla in un libro, di non abbandonarla all’oblio, di restituirle dignità. Ed un’altra donna ancora, a centoventi anni di distanza, continua a ricordarla e ha viaggiato per rendere omaggio a un bassorilievo.
Poi ti ho salutata, Isolina, ti ho lasciata lì, sola in fondo al vicolo. Ma un giorno tornerò a trovarti. Andateci anche voi. Se non l’avete fatto, leggete il libro di Dacia Maraini e, quando la vita ritroverà la normalità, quando saremo di nuovo liberi di uscire e viaggiare, passate da Verona, cercate Vicolo Chiodo. Cercate Isolina. Regalatele un momento.
Cancellare dalla vita una vita non è facile. Qualcosa rimane sempre, di irriducibile, di indistruttibile che si rifiuta di essere annientato.
Edizione: Bur Contemporanea Rizzoli 2016
Pagine 243
Fotografie di Franca Bersanetti Bucci