InCanto: Luca Giacomelli Ferrarini racconta Walt Disney

Avete mai incontrato qualcuno capace di fare magie?

Per mia fortuna, io sì. Si chiama Luca Giacomelli Ferrarini e, da che lo conosco, gli ho visto compiere magie una più sorprendente dell’altra. Fidatevi, non esagero. L’ultima sua magia, in ordine di tempo, risponde al titolo di InCanto e omaggia il genio rivoluzionario di un altro talento visionario che di meraviglie e di fantasia se ne intendeva, ovvero Walt Disney.

Fotografia di L.C.Art Roma

Lo spettacolo, con la collaborazione dell’associazione culturale L.C.Art, ha felicemente debuttato lo scorso 23 aprile 2022 a Roma, sul palco dell’auditorium Santa Chiara, inaugurando un minitour primaverile di presentazione che lo porterà anche a Firenze, il 5 maggio, e a Foggia, il 7 e 8 maggio, in attesa della prossima stagione. Accompagnato da quelle che lui stesso ha definito muse d’eccezione, Francesca Longhin e Diletta Marzano, Luca ha creato un concerto narrativo in cui prende per mano il pubblico e lo conduce lungo un percorso fatto di canzoni e aneddoti che raccontano i tanti personaggi disneyani, le fonti d’ispirazione, le curiosità. È un vero e proprio viaggio, per grandi e piccini, che porta gli spettatori dall’Oriente al Sudamerica, da torri solitarie al fondo del mare, dai tetti di Londra agli Inferi. Un’avventura sgargiante, spiritosa e poetica, in cui arriva la canzone che non ti aspetti o quella che conosci a memoria ma cantata come non l’hai mai sentita prima. Che sorpresa la selezione di brani tratti da Hades Town, il musical ispirato al mito di Orfeo e Euridice, un momento splendido e potente. E molto delicato il toccante ricordo di Hans Christian Andersen. Non ci sono solo i principi, le principesse e gli eroi, in questo viaggio, ma anche i diversi, i non collocabili, le emozioni dei più umili, l’amicizia, la famiglia. Tutti quei temi che hanno permesso all’universo disneyano di poter parlare a più di una generazione, accogliendone i cambiamenti.

Fotografia di L.C.Art Roma

Il trio di voci è stupefacente, così in equilibrio da dare l’impressione a volte che in scena ci siano dieci persone e non solo tre. Davvero fantastici gli arrangiamenti che reinterpretano pezzi notissimi dando loro una nuova veste. Francesca Longhin e Diletta Marzano sono perfette, complici generose e appassionate dell’assoluto re del palco: Luca Giacomelli Ferrarini brilla, scintilla, divampa. Si diverte, tira fuori la sua anima di narratore sensibile e gioca con la voce come se stesse manipolando plastilina, facendole assumere letteralmente qualsiasi forma. Ve l’avevo detto che sa fare magie, no?

Fotografia di Elisa Lobina

Se suono entusiasta, è perché lo sono. A fine spettacolo, si esce dal teatro con la voglia di rivedere tutti i film citati durante la serata e magari di rileggere le fiabe di Andersen. InCanto regala novanta minuti di musica e sogni, fiabe e risate e, in un tempo di profonda incertezza, ci ricorda che il potere dell’immaginazione è un tesoro prezioso da difendere, un’arte da coltivare, un amore da nutrire. I sognatori sono come piccoli bruchi, che affrontano il mistero della crisalide, credendo nella possibilità delle ali.

Fotografia di L.C.Art Roma

Andate a vedere InCanto e capirete cosa intendo.

Le avventure di Mercuzio: un esordio imperfetto ma che si fa ricordare

Negli occhi poi, verdi come i boschi, riluceva una specie di bagliore folle, che però rendeva il suo sguardo già bello ancora più espressivo e penetrante.

Chi mi conosce potrà facilmente immaginare il motivo principale della mia curiosità per questo libro. Da sempre, fin dall’infanzia, adoro il Mercuzio di Shakespeare, un personaggio che in anni recenti si è rivelato portatore di sorprendenti novità nella mia vita. Potevo quindi non leggere una storia con il suo nome nel titolo?

Ma in effetti il mio interesse, titolo a parte, è stato alimentato soprattutto dalla trama, ambigua e surreale.

Chi è Mercuzio, misterioso giovane che vive in solitudine in un appartamento in via dell’Anima, a Roma, circondato solo di libri?

Il bel Mercuzio non conosce nulla del presente là fuori, è del tutto scollegato dall’attuale realtà. Non è neppure dato sapere come si mantenga. Sarà Virgilio, il ragazzo delle pizze a domicilio, a guidarlo nella scoperta del mondo infernale là fuori e ad aiutarlo nella conquista della splendida Beatrice, di cui Mercuzio si è perdutamente innamorato.

Perplessi? Io, leggendo, lo ero. Perché, ad esempio, chiamare il protagonista Mercuzio quando forse sarebbe stato più sensato Dante? E cosa mi stava raccontando Daniel Albizzati? Una favola? Una metafora sociale? Altro ancora?

Forse tutto questo e di più. L’autore sfrutta le lacune comportamentali di Mercuzio per parlare dell’uso dei social e della loro influenza nei rapporti interpersonali, specie fra i giovani. È tutto quasi caricaturale, i ragazzi descritti sono per lo più tutti pariolini, ricchi, annoiati, come appena usciti da una fiction piuttosto banale, i loro rituali sociali vengono portati all’estremo. Sulle prime questo mi ha un po’ infastidita, mi sembrava togliesse spessore alla vicenda. Poi ho pensato che tale esasperazione poteva essere voluta, per sottolineare ancora di più l’estraneità di Mercuzio, la sua diversità, anch’essa estrema. Lui è la vera carta vincente del romanzo, col fascino dell’incompreso e dell’incomprensibile. Grazie alle sue strampalate, tragicomiche avventure si riflette anche sull’amicizia, sull’amore, sulla lealtà, sull’essenza dei sentimenti che spesso, nella frenesia del vivere, non ci accorgiamo di lasciare da parte. Sulla necessità del sogno, a volte un rifugio, a volte una via di fuga. Non si può non amarlo, questo Mercuzio alieno e alienato, così innocente e buffo, così fuori tempo e fuori luogo, così saggio e antico, così sincero e bambino. Via via, sì, diventa chiaro perché sia stato chiamato Mercuzio. Il nome gli calza a pennello.

Peccato per la copertina, che non lo rispecchia.

Alla fine, comunque, voi mi chiederete, chi è Mercuzio? L’enigma intorno alla sua figura sarà chiarito? E coronerà il suo sogno d’amore con Beatrice?

Domande a cui ovviamente non posso rispondere, svelerei troppo. Ma davvero questa strana storia imperfetta mi ha colpita, intrigata e sorpresa. In particolare mi ha spiazzata il finale. Non me lo aspettavo. Lì… lì ho veramente riconosciuto Mercuzio, come non lo avevo mai visto, eppure proprio lui, quello che amo da sempre, quello che credeva con passione nella vera amicizia e nell’amore, sin nelle viscere, dentro il sangue.

Mercuzio il folle.

Non sono io quello pazzo; pazzi sono tutti quelli che riescono a passare sopra a tutto. Insomma, bisognerà pure dare importanza a qualcosa in questo mondo, no? Sennò, se tutto è equiparabile, se tutto è livellabile, se ogni cosa è perdonabile, niente vale più, e non vale neanche più la pena di dare un senso alle cose.

(Edizione marzo 2018: Fazi

Pagine 254)

Il Diavolo veste Disney: sognare non è semplice ma per favore non smettete

Far ridere è difficile e necessario》- Cristian Ruiz

I sogni son desideri, dice una celebre canzone disneyana, ma secondo un vecchio adagio bisogna stare attenti a ciò che si desidera e sogna perché potrebbe anche avverarsi… E così, in un improbabile talk show che fa il verso ai programmi di Maria De Filippi e al Grande Fratello, ecco le principesse Disney (e anche qualche principe) sfogarsi e confessare delusioni, frustrazioni, insicurezze e via dicendo. Insomma, lavorare per la fabbrica dei sogni del mitico Walt non è tutto rose, fiori e cuoricini come si potrebbe credere.

Per il consueto spettacolo di fine anno del corso di teatro musicale della L.C.Art di Roma, i due geniali docenti Luca Giacomelli Ferrarini e Cristian Ruiz hanno confezionato un copione e una messa in scena spumeggianti e irriverenti, pieni di divertita ironia. D’altronde si riesce a dissacrare con grazia solo ciò che si ama davvero e Il Diavolo veste Disney non è stata soltanto un’occasione per ridere ma anche un modo brillante per riflettere sui sacrifici e le incertezze che comporta lavorare con i sogni. O con l’arte. Perché, alla fine, le problematiche dei personaggi Disney in sostanza non sono molto diverse da quelle degli artisti, nella vita vera. Alimentare sogni è una gran fatica.

Un prodotto raffinato e ben scritto, quindi, di livello professionale, anche nelle soluzioni sceniche e nei costumi. Vogliamo parlare della sirenetta Ariel e dei suoi capelli che fluttuavano legati ai palloncini?

Fantastica.

Splendidi anche i ritratti fotografici dei singoli personaggi realizzati da Luca Giacomelli Ferrarini: per ragioni di spazio ne posso offrire solo un assaggio sotto forma di collage, ma è possibile vedere le fotografie originali sulle pagine Facebook e Instagram dell’autore e della L.C.Art.

Lo scorso 16 giugno 2019, nelle due repliche sold-out sul palco del Teatro Centrale Preneste di Roma, gli allievi della L.C.Art hanno reso onore a quanto creato con tanta cura dai loro insegnanti e ai dieci mesi di studio e costruzione dello spettacolo. Si sono dimostrati all’altezza del ritmo veloce dei testi, dei tempi comici, delle coreografie, delle canzoni e dei complicati cambi di scena. Buonissima anche la sintonia di gruppo: diciassette attori sempre tutti presenti sul palco, con un copione così ricco di battute e movimenti scenici, devono saper gestire spazi, tempi e ruoli come gli ingranaggi di un orologio e posso testimoniare che loro ci sono riusciti.

Soddisfatto, felice, commosso ed emozionato… Grazie》- Luca Giacomelli Ferrarini

Palpabili ed evidenti l’orgoglio e la felicità dei due insegnanti/registi e anche di Cristiana Corongiu e Paola La Rocca, colonne portanti della L.C.Art. Impossibile il contrario: Il Diavolo veste Disney è oggettivamente uno spettacolo ben riuscito, con un cast che ha dato il meglio di sé.

Il mio ricordo personale?

Un momento delle prove. I ragazzi che sul palco imparavano anche la pazienza delle lunghe attese e dei tempi tecnici, la figura in ombra del regista davanti a loro e, in un angolo, tra gli oggetti di scena, un piccolo mazzo di fiori gialli, che risaltava grazie alle luci blu. Una sorta di immagine pittorica che un po’ mi pento di non aver catturato in una foto. Però è sicuramente fotografata nella mia memoria, la creatività e l’impegno e il giallo di quei fiori vivo come i sogni che da decenni Walt Disney e i suoi personaggi ci donano. Magari sognare e dare vita ai sogni non è sempre semplice, a volte è faticoso, a volte si vorrebbe mollare… E invece no, vale sempre la pena di sognare, di crederci. Non smettete, non smettiamo.

Di certo non si smetterà di sognare alla L.C.Art: consiglio di seguire le sue pagine social, già sono in arrivo a breve interessanti novità.

(Locandina e ritratti di Luca Giacomelli Ferrarini

Fotografie di scena di Andrea Romagnoli)

La figlia femmina: una storia che disturba, conquista e brucia

《Io il diavolo ce l’ho qua》. Si alzò in piedi e si indicò il petto. 《Ma non lo so chi ce l’ha messo, ci sono nata così》

È stato un rapporto controverso, quello fra me e questo libro. L’ho voluto da subito, appena ho visto la bellissima copertina con il discusso quadro di Balthus, eppure sono trascorsi mesi e mesi prima che lo comprassi, in una specie di inseguimento. Entravo nelle librerie e non lo trovavo, mi ripromettevo di ordinarlo ma succedeva sempre qualcosa per cui non lo facevo.

Poi finalmente eccolo, mio. E l’ho letto d’un fiato, come accade con certi liquori molto forti, che non si possono bere a piccoli sorsi ma devi mandarli giù in un colpo solo, sentendo le viscere che ti vanno a fuoco e anche con qualche lacrimuccia agli occhi. Ti riscaldano, però, ti danno una sferzata, ti risvegliano.

Ciò che mi ha conquistata di La figlia femmina è come Anna Giurickovic Dato abbia affrontato il tema estremamente rischioso e difficile della pedofilia senza scadere nei suoi aspetti più crudi e morbosi, senza cercare il facile sensazionalismo. Il suo approccio è più sottile e intimo, passa attraverso gli occhi di una moglie e madre che, come capita spesso, non vede o non vuole vedere quello che sta accadendo, sino a che la realtà non le viene sbattuta in faccia con violenza. L’autrice non giudica, non nasconde moniti fra le righe: con semplicità entra nei ricordi e nel presente della sua protagonista – divisi tra un Marocco splendidamente rievocato e Roma – e ne narra la cecità, l’inadeguatezza, i rimorsi, la confusione, la difficoltà ad affrontare la figlia, prima bambina di cui non ha colto il silenzioso grido di aiuto, poi adolescente distorta dal trauma.

Fino a una cena surreale, in cui ho stentato a comprendere cosa fosse vero e cosa invece un’interpretazione deviata e rielaborata dai sensi di colpa, dalle paure più profonde, dal peso di due vite strappate che non possono essere più le stesse.

Il silenzio che sento non è solo intorno, ma mi viene da dentro e mi paralizza. Sono io stessa il silenzio.

Alla fine si è sorpresi dalla disturbante consapevolezza che potrebbe accadere anche a noi. Che poco conta dirsi io lo avrei capito, me ne sarei accorta. Forse no, invece.

Un esordio potente, quindi, disturbante, lucido, umano. Che, da quel che ho letto seguendo il profilo Instagram di Anna Giurickovic Dato, è stato anche trasformato in copione teatrale. Attendo news a questo proposito e spero di avere prima o poi la possibilità di vedere La figlia femmina sul palcoscenico. È in effetti una trama perfetta per il teatro.

Soprattutto è un libro veramente ben scritto. Se non lo avete ancora fatto, leggetelo. Brucerà ma vi farà pensare.

(Editore: Fazi

Pagine: 191)