Stanno sparando sulla nostra canzone: una black comedy che colpisce al cuore (ma non fa male, anzi…)

Questi nostri anni Venti hanno molto in comune con quelli del secolo scorso: anche allora il mondo aveva dovuto fronteggiare, oltre a una guerra, i tempi bui di una pandemia ed è proprio in quell’epoca, in cui si cercava di ricominciare e tornare alla normalità, che Giovanna Gra ha ambientato Stanno sparando sulla nostra canzone, la black comedy musicale di cui è anche regista insieme a Walter Mramor: in pieno proibizionismo, in un’America dalle atmosfere urbane e notturne che si sta riprendendo dal primo conflitto mondiale e dall’influenza spagnola, si intrecciano le sorti di una fioraia spacciatrice d’oppio, un giocatore d’azzardo e un gangster senza scrupoli, in cerca di nuove speranze, amore e potere, guidati dalla passione e dalla rinnovata voglia di vivere e vincere. Il tutto in un turbinio coinvolgente di canzoni di ogni genere riarrangiate da Alessandro Nidi, dai Queen a Michael Jackson, passando per Renato Zero e Prince. Una storia divertente e intelligente, che ho avuto modo di apprezzare di persona lo scorso 1 aprile, quando, reduce da un tour di successo partito a febbraio (e che in questi giorni approda a Torino, fino al 10 aprile), ha fatto tappa anche ad Argenta, in provincia di Ferrara, dove vivo, al Teatro dei Fluttuanti.

Fotografia di Renzo Daneluzzi

Nei panni di Jenny Talento, la fioraia che oltre ai fiori vende oppio, splende Veronica Pivetti, che ritrae con partecipazione e fascino la figura dolce e seducente di una donna appassionata che si innamora ma non perde se stessa e anzi regala al pubblico un’evoluzione sorprendente e per niente banale. È stata una bella conferma scoprire Veronica Pivetti dal vivo, in veste di attrice teatrale: forte presenza scenica, molta ironia e quel suo caldo timbro di voce che mi è sempre piaciuto tanto, notevole anche nel canto.

Accanto a lei, due volti noti del musical nostrano: Brian Boccuni e Cristian Ruiz.

Brian Boccuni interpreta il giovane e prestante giocatore d’azzardo Nino Miseria, che intraprende con Jenny una travolgente e burrascosa storia d’amore. A suo agio anche nei personaggi drammatici (lo ricordo nel bellissimo Il bacio della donna ragno), questo ruolo gli consente di sfoggiare il suo lato brillante (come già accadde con Processo a Pinocchio) e mostra davvero una bella chimica con Veronica Pivetti. Bellissima la sua delicata versione di Moon River.

Fotografia di Renzo Daneluzzi

L’ammaliante e luciferino gangster Mickey Malandrino sembra invece scritto apposta per Cristian Ruiz. Dopo averlo visto esibirsi in tanti teatri italiani, negli ultimi otto anni, è stato davvero speciale ritrovarlo qui, sul palco del teatro di casa mia. Questa è una stagione in stato di grazia per lui: dopo i trionfi milanesi di Pretty Woman, di nuovo porta in scena – con molta generosità – un altro personaggio che gli calza a pennello. La sua interpretazione di I wanna be loved by you di Marilyn Monroe è indimenticabile.

Fotografia di Luca Giacomelli Ferrarini

Molto emozionante la chiusura dello spettacolo: finita la storia, finita la musica, sono rimaste solo le luci e le voci dei tre protagonisti, a intonare C’era un ragazzo accompagnate dal battito delle mani del pubblico. E direi anche dal battito dei cuori. Un modo perfetto e toccante per concludere una serata ricca di risate ma anche riflessioni su un tempo che ci assomiglia, su sentimenti che ancora ci appartengono.

Consiglio a chi è di Torino e dintorni di non perdersi la possibilità di vedere Stanno sparando sulla nostra canzone, al Teatro Gioiello fino al 10 aprile, e mi auguro che lo spettacolo continui il tour anche nella prossima stagione. Lo rivedrei più che volentieri.

Noi spariamo, ma non pallottole: emozioni. Perché il teatro ti stende, ma non ti ferisce mai (Cristian Ruiz)

Appiccicati-Un musical diverso: la vita a volte ci incastra ma forse ci fa un favore

Lui, lei. Un incontro fugace di sesso occasionale tra sconosciuti, ma… ops! Succede che i due rimangono incastrati! Sì, mentre consumano, avete capito. L’unica, imbarazzante soluzione pare ovviamente il pronto soccorso, ma i malcapitati si ritrovano in uno strano ospedale dove il tempo non passa mai. Anche perché l’orologio è finto, come spiega l’unica – molto poco collaborativa- infermiera, che peraltro fin dall’inizio ha reso subito chiaro al pubblico che questo è un musical. Infatti il dottore in realtà è il pianista (o invece il pianista è in realtà il dottore? Uhm…)

Insomma non c’è dubbio che Appiccicati-Un musical diverso sia davvero diverso. Arriva dalla Spagna – creato da Ferran Gonzales, Alicia Serrat e Joan Miquel Perez – e dello stile iberico ha tutto il sapore squisitamente e allegramente carnale, privo di inibizioni e censure. Ma non solo questo. È infatti interessante che la versione italiana sia una produzione del Teatro dei Filodrammatici di Milano, un palcoscenico dedito soprattutto alla prosa: grazie all’espediente del dialogo diretto con gli spettatori, lo spettacolo, diretto da Bruno Fornasari, smonta le regole del musical e sembra quasi parodiarlo, prenderlo in giro, ma, in maniera ironica e sottile, fa anche l’opposto, sbeffeggiando chi guarda solo ai grandi classici e piagnucola sul vero teatro ormai morto. Una dissacrazione intelligente di certi stereotipi e noti pregiudizi e anche un divertito omaggio ai piccoli allestimenti, che vanno in scena con pochi mezzi (e, aggiungo io, sono spesso per questo dotati di maggiori genio e inventiva).

Nei ruoli dei due amanti appiccicati ci sono Marta Belloni e Cristian Ruiz, entrambi impegnati in una performance fisicamente e vocalmente non semplice, affrontata però con piacevole leggerezza. Lei – che ha anche tradotto le liriche insieme a Fornasari e Daniele Vagnozzi – mi ha colpita per l’espressività e la grinta: incarna una ragazza tosta e decisa, con le idee molto chiare, che non lascia emergere facilmente dolcezza e incertezze, ma poi… Ruiz invece si dimostra sempre a proprio agio nel registro della commedia ed esprime anche una goffa, simpatica vulnerabilità, con cui conquista ben presto l’affetto del pubblico (e dopo un po’ ammorbidisce pure la sua appiccicata compagna).

Chi mi ha sorpresa è stato Antonio Torella, il pianista/dottore (o dottore/pianista?): mi erano già ben note le sue notevoli doti di musicista e sempre in quelle vesti lo avevo visto esibirsi finora, ma in Appiccicati ho scoperto anche il suo lato comico. E, ehi, è bravo anche in quello!

E poi c’è lei, la famigerata infermiera, la ciliegina sulla torta, il fiore all’occhiello, la scheggia impazzita, tutto questo insieme, ovvero Stefania Pepe (mai cognome fu più azzeccato): fantastica, la ringrazio per le sincere risate. Ma dovete vederla in azione, descrivere quello che combina sarebbe riduttivo.

E se appunto volete vederli, tutti loro, avete tempo ancora per una decina di giorni. Dopo aver debuttato lo scorso 7 maggio, Appiccicati resterà in scena al Teatro dei Filodrammatici fino al 26 maggio 2019, quindi sbrigatevi e andate a scoprire come andrà a finire per i due appiccicati. Vi farete un sacco di risate e anche qualche piccola riflessione.

Perché la vita, si sa, ci incastra, ma a volte, facendolo, ci offre insospettabili occasioni.

Ah… dimenticavo: evitate di tossire!

(Fotografie di Laila Pozzo e tratte dalla pagina Facebook del Teatro dei Filodrammatici)

Amy e Isabelle: l’imperfetta linea nera tesa tra una figlia e una madre

Ad Amy sembrava che una linea nera le tenesse collegate, una linea non più pesante di un tratto di matita, forse, ma una linea che era sempre presente.

Una manciata di parole, eppure con dentro un intero mondo. Il buono e il cattivo, l’amore e il dolore del rapporto tra Amy e Isabelle. Quella linea nera che pare così fragile e invece le tiene insieme, con forza, per forza. In apparenza tanto diverse e in realtà l’una lo specchio dell’altra: Amy, la figlia, e Isabelle, la madre, più simili di quanto credano o di quanto possano accettare.

Una banalità, in fondo. Quante storie di rapporti come questo abbiamo letto?

Ma la forza della scrittura di Elizabeth Strout – in un libro d’esordio che non sembra tale, tanta è la sua sorprendente maturità – sta proprio in questo: la solita cittadina della provincia americana, i soliti scontri tra una madre impeccabile e rigida e una figlia adolescente alle prime esperienze, le solite contraddizioni, le solite illusioni… tutto già visto, però raccontato e scritto bene. Anzi benissimo.

Pare scontato invece vale tutto.

Lo stile della Strout è realistico, affilato e al medesimo tempo corposo, pieno di sfumature. La struttura del romanzo è costruita sul presente di un’estate opprimente, tanto nel clima quanto nei pensieri carichi di ansie e private sofferenze dei personaggi, con incursioni nell’inverno appena trascorso, a scrutare i turbamenti e i sogni che hanno anticipato il precipitare degli eventi.

… negli anni a venire, da adulta, ne avrebbe parlato con parecchie persone, prima di rendersi conto, alla fine, che era solo una storia come tante e che in fondo non interessava a nessuno. Ma per loro, per Amy e Isabelle, aveva un’importanza cruciale…

Una vicenda come tante appunto, narrata con forza e profondità. Le emozioni di Amy e Isabelle, le esperienze, le speranze, le delusioni, la rabbia, le bugie, i voli pindarici, le cadute e le risalite, ogni loro sentimento è vissuto anche dal lettore. Non ci sono colpe da attribuire o alibi da trovare, è solo la vita con le sue umane incomprensioni e quella fatica che i legami forti a volte costano.

Ma che ci potevi fare? Solo tirare avanti. La gente tirava avanti; lo faceva da migliaia di anni. Facevi tesoro della gentilezza che ti veniva offerta, lasciandotela filtrare dentro il più possibile, e con gli anfratti che restavano oscuri cercavi di conviverci, sapendo che col tempo si sarebbero potuti trasformare in qualcosa di quasi sopportabile.

E verso la fine credo che questo libro contenga una delle pagine di solidarietà e unione femminile più belle e commoventi che mi sia capitato di leggere. Un salotto, Isabelle, Dottie, Bev: donne, semplicemente donne, messe alla prova, ferite, smarrite, che in una manifestazione di amicizia sincera trovano una bolla di conforto e accettazione.

In definitiva, se non avete ancora letto qualcosa di Elizabeth Strout, rimediate e fatelo. E non perché abbia vinto un Pulitzer.

Proprio perché è davvero brava.

(Edizione: Fazi

Traduzione di Martina Testa

Pagine 474)