Un anno con Mozart: bellezza per ogni giorno

Se un brano vi parla, per qualsiasi motivo, chiunque siate, la vostra reazione è valida: quello che significa per voi rappresenta il suo significato.

Wolfgang Amadeus Mozart nasceva oggi, il 27 gennaio 1756. Trovo suggestivo che la nascita di un genio capace di toccare vette di incomparabile bellezza coincida con la Giornata della Memoria, emblema di uno dei crimini più orripilanti e tragici mai commessi contro l’umanità. Fa riflettere. E c’è una storia che è davvero perfetta per questo giorno. Una storia che parla di arte, condivisione e speranza nonostante l’orrore.

Nel gennaio del 1942 una partitura del Requiem di Verdi venne introdotta di nascosto nel campo di concentramento di Theresienstadt (Terezín) e centocinquanta prigionieri ebrei, capeggiati dall’ex direttore d’orchestra e compositore Rafael Schächter, si riunirono per cantarlo. Fu eseguito almeno sedici volte, giorno dopo giorno, mentre i coristi venivano deportati in altri campi e diminuivano. Non smisero di cantare, fino all’ultimo. Schächter, che morì ad Auschwitz nel 1945, disse 《Canteremo ai nazisti ciò che non possiamo dire

Lo racconta Clemency Burton-Hill in Un anno con Mozart, lettura preziosissima che mi ha accompagnata per l’intero 2021. L’autrice, pluripremiata violinista, collaboratrice della BBC e patrona di organizzazioni benefiche per l’educazione artistica e musicale, propone un brano per ogni giorno dell’anno (qualsiasi anno, è presente anche un pezzo per il 29 febbraio), corredandolo di aneddoti legati alle vite dei compositori o episodi significativi come quello, struggente, che ho citato.

Il libro, il cui titolo originale è Year of wonder, diventa una sorta di bibbia artistica, da consultare e tenere a portata di mano, per ritrovare, riscoprire, imparare, meravigliarsi, emozionarsi, sognare e, come nel caso dei prigionieri coristi di Theresienstadt, anche commuoversi. Da Mozart, Bach e Beethoven, fino a Verdi e Puccini, da Morricone a Bernstein, sino alle reinterpretazioni contemporanee di Max Ritcher, pezzi leggendari e altri, sconosciuti e sorprendenti. E le compositrici, quelle che mi hanno stupita e affascinata maggiormente: da Ildegarda di Bingen a Clara Schumann, da Fanny Mendelssohn a Francesca Caccini, da Florence Price alle sorelle Boulanger, da Isabella Leonarda a Barbara Strozzi, una moltitudine di donne straordinarie che hanno saputo superare le barriere della condizione femminile in tempi in cui la musica era predominio degli uomini, lasciandoci opere meravigliose.

E di meraviglia c’è sempre bisogno. Oggi più che mai e in ogni giorno dell’anno.

Credo che vi sia ben poco nella vita che questa musica non sappia accompagnare in modo adeguato. E spero soprattutto che vi approprierete di questi pezzi, perché chiunque siate, qualunque sia la vostra origine o il vostro percorso per giungere fin qui, sappiate che ora vi appartengono.

Edizione Novembre 2020 Neri Pozza

Titolo originale: Year of wonder, classical music for every day

Traduzione di Maddalena Togliani

Pagine 453

Cospirazione Medici: alla ricerca di un perfetto (o quasi) Giuliano De Medici

《Se ti rendessi Giuliano, cesserebbero le tue vendette?》

Nell’estate 2017, tre anni fa, trascorsi quattro indimenticabili giorni a Firenze, dedicati al teatro, all’amicizia e all’arte. Lo scopo principale del viaggio fu  La Congiura, in scena al Teatro del Maggio: un musical creato dal noto e ormai purtroppo scomparso compositore Riz Ortolani e ispirato al celebre complotto con cui la famiglia Pazzi, insieme ad altri illustri complici, tentò di rovesciare il potere dei Medici, il 26 aprile 1478. Devo a  quello spettacolo, il mio interesse  per la figura di Giuliano De Medici. Caduto vittima dei congiurati in quell’oscuro giorno, ancora giovanissimo, di lui restano la tomba nelle Cappelle Medicee, i versi e le parole che il poeta Poliziano gli dedicò, alcuni ritratti, le tracce della sua passione per la bellissima Simonetta Cattaneo Vespucci, il suo sangue in un figlio che non conobbe mai e che  diventò Papa. Questo e poco altro. Pare fosse molto amato e benvoluto, ma è passato alla storia soprattutto per la sua morte. La saggistica si concentra sul ben più famoso fratello maggiore, Lorenzo il Magnifico, e sulla loro controversa, ambiziosa famiglia. La narrativa spesso lo racconta in maniera approssimativa e storicamente inesatta. Esiste anche un’opera lirica di Leoncavallo, di cui è protagonista, ma considerata fra i lavori minori dell’autore. È una sorta di splendore  velato, quello del giovane Medici, una luce nell’ombra. Nemmeno io gli avevo mai prestato la dovuta attenzione, almeno fino a che Riz Ortolani e il suo interprete in teatro, Luca Giacomelli Ferrarini, mi hanno permesso di scoprirlo e da allora continuo a cercarlo tra pagine, musiche e fotogrammi.

Docile burattino nelle mani sagaci del Magnifico che arrivavano dovunque, e non risparmiavano nessuno, doveva attenersi a un preciso ruolo da interpretare nella costruzione della grandezza dinastica. Un ruolo da gregario, naturalmente.

In un saggio letto un paio di anni fa, mi colpì il fatto che i due autori si soffermassero sulle modalità della morte di Giuliano, massacrato con tale violenza che uno dei suoi assassini, il famigerato Francesco Pazzi, finì con l’autoinfliggersi una grave ferita a una gamba. L’aggressione avvenne a tradimento, Giuliano non ebbe neppure il tempo di provare a difendersi né fu possibile tentare di salvarlo, quindi perché tanto accanimento? Specie se si pensa che il bersaglio principale e  fondamentale  del complotto, Lorenzo, veniva nel frattempo attaccato con molta meno decisione ed efficacia e riusciva a sopravvivere. Quell’eccesso di ferocia nei confronti di Giuliano induce quindi a sospettare che le motivazioni di Francesco Pazzi avessero anche  sfumature personali e non solo politiche.

Plausibile, come idea. In effetti già suggerita anche nello spettacolo di Ortolani. Ed ecco che scopro che uno dei due autori del saggio sopra citato, Barbara Frale, ha costruito un romanzo proprio intorno a questa ipotesi. In Cospirazione Medici (certo si poteva trovare un titolo migliore…) l’autrice individua le radici dell’odio nella passione che legò Giuliano a  Simonetta Cattaneo Vespucci, musa del Botticelli, ammirata dall’intera Firenze, che morì all’improvviso due anni prima della Congiura. Due anni esatti prima, per essere precisi, proprio il 26 aprile 1476. Una coincidenza temporale che tuttora ha un sapore tragico e suggestivo. Difficile resistere alla tentazione di fantasticare su qualcosa che già la realtà ha reso speciale. Diversi testi fanno riferimento anche a ciò che accadde durante la Giostra in Piazza Santa Croce del 1475, che Giuliano vinse e dedicò a Simonetta e che fu poi celebrata in versi dal Poliziano: quel giorno Giuliano era riccamente – persino troppo- bardato e nella foga del torneo perse per la piazza vari ornamenti, in particolare numerose perle, a cui la tradizione popolare attribuisce un significato infausto. I superstiziosi, col senno di poi, non si sbagliarono.

La perla viene dall’acqua e dalla luna, e secondo qualcuno possiede un arcano rapporto con le lacrime.

È storicamente assodato che Giuliano abbia sofferto molto per la morte della splendida Simonetta, così come si sa che, poco prima della Congiura, stesse preparando il matrimonio con Semiramide Appiani, parente di Simonetta stessa. E Barbara Frale ha collegato i due fatti, aggiungendo allo scenario anche Francesco Pazzi. Sembra infatti che Semiramide assomigliasse parecchio alla defunta Simonetta e non è irrealistico supporre che Giuliano possa essersi invaghito di lei rivedendovi le sembianze dell’amata perduta. Ma nella trama costruita dall’autrice, Semiramide è già promessa a Francesco Pazzi e sarà la rottura del fidanzamento ad alimentarne il furore vendicativo. Va ricordato che all’epoca le unioni matrimoniali avevano una natura soprattutto patrimoniale e finanziaria, per cui il fallimento di tali accordi  non implicava solo un’onta a livello morale ma anche economico. La bella Semiramide, con buona pace dei romantici, non era una pedina contesa solo a livello passionale.

Lo ammetto, almeno secondo i miei gusti, le scene tra Giuliano e Semiramide scivolano spesso nel melenso, il linguaggio in generale tende a risultare verboso e le mie aspettative sulla rappresentazione di Giuliano continuano ad essere più alte e non completamente soddisfatte, ma il testo ha una sua solidità, rappresenta una buona ricostruzione storica e per una volta il Magnifico viene messo in secondo piano a favore del fratello. La prova del nove era la  morte di Giuliano, che mi è capitato di ritrovare in altri casi eccessivamente romanzata o infarcita di dettagli improbabili: qui per fortuna è resa in modo  molto vicino a quella che è la descrizione riportata dalle testimonianze del tempo.

Lei non era il futuro, non era l’amore di una vita, ma aveva ricevuto dagli dei un dono misterioso: teneva lontana la morte.

C’è anche lei, ovviamente. Fioretta. Nel musical di Riz Ortolani aveva lo stesso ruolo di Semiramide nel libro. Ed è presente, insieme a Simonetta, anche nell’opera di Leoncavallo. Sia nel musical che nell’opera lirica, così come nella maggioranza delle fonti storiche, viene chiamata Fioretta Gorini o Gori. Barbara Frale invece la chiama Flora “Fioretta” di Giovanni e la ritiene nipote del pittore Masaccio. Sia come sia, nella vita vera di Giuliano fu la madre del suo unico figlio, futuro Papa Clemente VII, nato un mese esatto dopo la morte del padre, il 26 maggio 1478. Un’altra notevole coincidenza temporale. In questa versione della vicenda appare poco, però la sua presenza aggiunge un tocco struggente e delicato, specie nel finale.

In definitiva una lettura che vale la pena e che comunque, nonostante qualche riserva, consiglio.

Concludo tornando a un ricordo dello scorso gennaio. Era sera tardi e camminavo sola per Firenze, diretta verso l’albergo: persa nei miei pensieri mi sono resa conto solo all’ultimo momento che stavo passando davanti alle Cappelle Medicee, silenziose e addormentate. Niente turisti a quell’ora, solo pace, solo riposo. Mi sono fermata per un attimo e ho detto “Ciao Giuliano”.

Edizione ottobre 2019 Newton Compton

Pagine 284

Le regole del fuoco: una storia di donne “notevoli”

Che cosa si intendesse all’epoca con l’espressione ‘donna notevole’, non mi è facile spiegarlo, ma una cosa sicuramente : una donna diversa dalle altre e cioè, data la misoginia diffusa e la scarsa considerazione che le donne stesse avevano di sé, una donna libera, coraggiosa, non incline a seguire la regola perbene femminile del matrimonio e della famiglia, ma neanche la regola permale trasgressiva della seduttrice un po’ puttana. Forse, in poche parole, una che aveva scelto la sua vita, fregandosene di quello che gli altri si aspettavano da lei.

Le donne notevoli di questa storia sono due. Maria Rosa, la voce narrante, e Eugenia. L’una napoletana, l’altra di un paese vicino al lago di Como, si incontrano in un ospedale del Carso, dove vanno volontarie come infermiere crocerossine, durante la Grande Guerra del 1915-18. Molto diverse per carattere e approccio alla nuova difficile esistenza, dopo quella che pare una iniziale antipatia reciproca, finiscono invece non solo col piacersi, ma anche con l’innamorarsi.

mi sono appoggiata al muro prima di svenire, tu sei arrivata in un lampo e mi hai trascinata davanti ad una finestra. Io stavo tra le tue braccia come nei quadri la fanciulla salvata dal drago sta tra le braccia del forte cavaliere, solo che io ero alta come il cavaliere e tu piccola come la fanciulla.

Un amore raccontato e vissuto con semplicità e naturalezza: pacata e riservata Eugenia, i cui sentimenti si rivelano più nei gesti che nelle parole, piena di slancio passionale Maria Rosa. Le lettere in cui lei trascrive testi di canzoni d’amore napoletane per sostenere Eugenia, ancora al fronte, sono tra le pagine più delicate e dolci del libro.

Ma chi si aspetta che il fulcro della vicenda sia l’amore saffico, rimarrà deluso. Quello tra Maria Rosa e Eugenia è un amore. Punto. Non importa fra chi. Non è l’omosessualità a rendere notevoli le due protagoniste. Ciò che le rende tali sono gli scopi, le motivazioni, la volontà di allontanarsi dagli schemi prestabiliti. Maria Rosa che va in guerra per non seguire il volere della madre, a cui interessa solo vederla al più presto sposata. Eugenia che è decisa a diventare medico, a dispetto dei pregiudizi e delle difficoltà che la attendono. Giovani donne che vogliono colorare fuori dai margini e con colori inusuali.

E non dimentichiamo che questa è una storia di donne in guerra. L’autrice si è documentata con veri diari di crocerossine e nulla viene risparmiato al lettore di ciò che queste infermiere dovevano affrontare ogni giorno: orrori fisici e psicologici che richiedevano davvero una forza non comune.

La prosa di Elisabetta Rasy è semplice, scorrevole e diretta, con un ritmo che spinge a proseguire pagina dopo pagina, per non abbandonare il flusso di pensieri e ricordi di Maria Rosa, voce narrante.

Anzi, Alba Rosa, come la chiama Eugenia. E come lei sceglierà di chiamarsi per sempre. Una delle tante scelte da donna notevole.

Perché come recita la citazione iniziale di Ezra Pound, ciò che amiamo non ci viene strappato ma è la nostra vera eredità.

L’inferno sono gli altri, diceva Sartre. Sono anche il paradiso, a volte, ma certo per le donne sono spesso l’inferno. Una donna notevole era qualcuno che era stato all’inferno e ritorno, senza farsi piegare dalle sue leggi.

Edizioni Rizzoli

Pagine 180