Possiedo la mia anima: Virginia, lei, la cosa stessa

Chi è Virginia Woolf ? direi – una creatura umana libera, coraggiosa. E se è finita in vicoli ciechi, erano strade che cercava – molte delle quali ha lasciato aperte per noi.

Più o meno proprio a marzo di un anno fa, questo libro è stato il mio fedele compagno durante un periodo complicato e faticoso. Mi svegliavo prestissimo in una casa non mia e, approfittando del tranquillo lasso di tempo in cui ero l’unica ad essere in piedi, mi sedevo in una poltrona, nella cucina silenziosa, con un caffè caldo, pronta per leggere. Ogni giorno lo iniziavo insieme a Virginia.

Ho voluto che la mia biografia di Virginia Woolf, più che il racconto dettagliato dei suoi giorni, fosse un ritratto che si fondava su dettagli di prima mano – i diari, le lettere, i romanzi, i frammenti autobiografici, le sue prime prove di scrittura poi raccolte postume. E questo perché mentre scrivevo non potevo smettere di sentire la sua voce così sospettosa dello stile “biografico”.

Possiedo la mia anima era già stato pubblicato nel 2006 e, a quindici anni di distanza,  Feltrinelli lo ha riproposto in una bella edizione tascabile, con una copertina in cui dominano i colori tenui del giallo e dell’azzurro polvere e il celebre profilo di Virginia Woolf, in uno dei suoi ritratti fotografici giovanili più noti e più utilizzati. L’impressione generale è di grazia e quiete,  le stesse sensazioni che ho provato io leggendo, in quelle mattine solitarie, e l’atmosfera che permea l’intero libro. Una vita raccontata con gentilezza ed empatia. Nadia Fusini ci immerge nella vita di Virginia come in un romanzo appassionante e soprattutto ne rievoca la voce, la sua esistenza si ricostruisce come nei suoi scritti, attraverso di essi, lungo flussi di ricordi, esperienze, persone, ispirazioni, luoghi. Virginia rivive e comprendiamo qualcosa di più, solo un po’, della sua complessità, accompagnandola, camminando accanto ai suoi pensieri.

Questa è certamente, credo, l’ultima ora di pace.

Tra le pagine che mi hanno suscitato l’emozione più profonda, ci sono quelle – tristemente attuali – della parte finale, quando la guerra cala sulla quotidianità di Virginia come un’ombra oscura e minacciosa. Il suo smarrimento, la sua angoscia sono palpabili e commuovono, fanno male. Virginia che immagina come possa essere venire colpiti da una bomba, che non può più viaggiare per incontrare gli amici, che si sente privata dei suoi lettori in un momento in cui nessuno ha tempo per leggere… Via via, è come se venisse svuotata di tutto ciò che la nutriva e sosteneva. Un anno fa mi aveva colpito al cuore, oggi, per ovvi motivi, mi turba ancora di più. Alla luce di ciò Tra un atto e l’altro, ultimo romanzo di Virginia pubblicato postumo, assume     ulteriori suggestivi  significati. Mi ha affascinata scoprire che una delle sue scene più inquietanti e disturbanti – il serpente e il rospo – riproduce qualcosa che la scrittrice aveva veramente visto nel proprio giardino. La sua abilità nell’utilizzare e trasformare a livello narrativo quell’immagine carica di metafore toglie il fiato. Era immensa, senza se e senza ma.

Virginia scrive per salvarsi l’anima. La propria. Ma anche per salvare la nostra.

In quella cucina di una casa non mia leggevo di Virginia ogni mattina e quel libro dai colori tenui giallo e blu polvere resta un caro ricordo. Aperto e riaperto, sottolineato (sì, io lo faccio). Vissuto. Sta lì, sullo scaffale dedicato ai titoli a tema, che continuano ad aumentare, perché il tempo passa ma il mondo non vuole smettere di leggere le sue opere e di scrivere su di lei.

Cara Virginia, te ne sei andata da ottantun anni e le tue parole ci salvano ancora.

L’intero mondo è un’opera d’arte. E noi ne siamo parte. Amleto, o un quartetto di Beethoven, sono la verità di quel vasto insieme che chiamiamo mondo. Ma non c’è Shakespeare, non c’è Beethoven, non c’è Dio, noi siamo parole, noi siamo la musica. Noi la cosa stessa.

(Edizione Feltrinelli febbraio 2021

Pagine 390)

Un anno con Mozart: bellezza per ogni giorno

Se un brano vi parla, per qualsiasi motivo, chiunque siate, la vostra reazione è valida: quello che significa per voi rappresenta il suo significato.

Wolfgang Amadeus Mozart nasceva oggi, il 27 gennaio 1756. Trovo suggestivo che la nascita di un genio capace di toccare vette di incomparabile bellezza coincida con la Giornata della Memoria, emblema di uno dei crimini più orripilanti e tragici mai commessi contro l’umanità. Fa riflettere. E c’è una storia che è davvero perfetta per questo giorno. Una storia che parla di arte, condivisione e speranza nonostante l’orrore.

Nel gennaio del 1942 una partitura del Requiem di Verdi venne introdotta di nascosto nel campo di concentramento di Theresienstadt (Terezín) e centocinquanta prigionieri ebrei, capeggiati dall’ex direttore d’orchestra e compositore Rafael Schächter, si riunirono per cantarlo. Fu eseguito almeno sedici volte, giorno dopo giorno, mentre i coristi venivano deportati in altri campi e diminuivano. Non smisero di cantare, fino all’ultimo. Schächter, che morì ad Auschwitz nel 1945, disse 《Canteremo ai nazisti ciò che non possiamo dire

Lo racconta Clemency Burton-Hill in Un anno con Mozart, lettura preziosissima che mi ha accompagnata per l’intero 2021. L’autrice, pluripremiata violinista, collaboratrice della BBC e patrona di organizzazioni benefiche per l’educazione artistica e musicale, propone un brano per ogni giorno dell’anno (qualsiasi anno, è presente anche un pezzo per il 29 febbraio), corredandolo di aneddoti legati alle vite dei compositori o episodi significativi come quello, struggente, che ho citato.

Il libro, il cui titolo originale è Year of wonder, diventa una sorta di bibbia artistica, da consultare e tenere a portata di mano, per ritrovare, riscoprire, imparare, meravigliarsi, emozionarsi, sognare e, come nel caso dei prigionieri coristi di Theresienstadt, anche commuoversi. Da Mozart, Bach e Beethoven, fino a Verdi e Puccini, da Morricone a Bernstein, sino alle reinterpretazioni contemporanee di Max Ritcher, pezzi leggendari e altri, sconosciuti e sorprendenti. E le compositrici, quelle che mi hanno stupita e affascinata maggiormente: da Ildegarda di Bingen a Clara Schumann, da Fanny Mendelssohn a Francesca Caccini, da Florence Price alle sorelle Boulanger, da Isabella Leonarda a Barbara Strozzi, una moltitudine di donne straordinarie che hanno saputo superare le barriere della condizione femminile in tempi in cui la musica era predominio degli uomini, lasciandoci opere meravigliose.

E di meraviglia c’è sempre bisogno. Oggi più che mai e in ogni giorno dell’anno.

Credo che vi sia ben poco nella vita che questa musica non sappia accompagnare in modo adeguato. E spero soprattutto che vi approprierete di questi pezzi, perché chiunque siate, qualunque sia la vostra origine o il vostro percorso per giungere fin qui, sappiate che ora vi appartengono.

Edizione Novembre 2020 Neri Pozza

Titolo originale: Year of wonder, classical music for every day

Traduzione di Maddalena Togliani

Pagine 453

Virginia Woolf a fumetti: intensità, poesia e colore

Pur non essendo un’esperta in materia di graphic novel, amo i libri illustrati e quando ho saputo di questa novità sono corsa subito a prenotarla dal mio libraio di fiducia: non potevo perdermi una biografia a fumetti di Virginia Woolf!

Credo che già basti questo scorcio tratto dalle prime pagine per dimostrare quanto i disegni e i colori siano suggestivi. La biografia inizia così, nel giorno della morte di Virginia, con queste tonalità cupe eppure splendenti e quella figura solitaria che cammina lungo la riva, a un passo dalle acque in cui scomparirà.

Sembra di vedere l’aria che muove l’erba e increspa il fiume, non vi pare?

Liuba Gabriele, giovane artista laureata all’Accademia di Belle Arti di Brera, ha realizzato un’opera molto elegante e delicata, in cui predominano colori vivi e corposi, dal rosso al verde e al giallo, sino al blu profondo, con testi essenziali e poetici che ben rievocano la personalità e lo stile di Virginia Woolf. Illustrazione dopo illustrazione, la vita della scrittrice viene ripercorsa attraverso le sue fasi salienti,  il ricordo delle persone care e perdute, la sorella Vanessa e il circolo di Bloosmbury, la creazione di alcuni dei suoi libri più famosi, e soprattutto i legami fondamentali con il marito Leonard e l’amante e amica Vita Sackville-West. Ho amato in particolare, nella parte finale, quegli ultimi sguardi di Virginia all’ignaro Leonard e la sorta di fatale consapevolezza che coglie Vita. Toccante, coinvolgente.

Come potete vedere in questa fotografia dove l’autrice in persona mostra il libro con la copertina completamente estesa, il lavoro grafico è davvero di notevole bellezza e lo rende un piccolo gioiello da collezione per chi ama Virginia Woolf. Può però essere un’occasione anche per chi non la conosce, un modo diverso di accostarsi alla sua figura e di cominciare a scoprirla.

Si legge velocemente ma resta nel cuore e negli occhi.

Scrivo questo romanzo febbrilmente. Il disegno si precisa rapido, feroce, fulgido. Sono concentrata, una freccia ben puntata, irrigidita, mentre questo formicolio mi attraversa. Sono lontanissima da ogni cosa, da Leonard, anche da te, Vita. Le parole elastiche, translucide, colorate, le parole sonore si agganciano le une alle altre, formano catene, formano maglie. E le impressioni preziosissime racchiudono il tutto, ciò che devo salvare, che sfugge, che vuol finire, che imbroglierò per sempre. Ti ho preso, ti ho catturato, in un giorno. Piango e rido.

Edizione 2021: Becco Giallo

Pagine 128

(Le immagini provengono dalle pagine Twitter e Instagram di Becco Giallo e Liuba Gabriele)

La Ricamatrice di Winchester: le donne di Tracy Chevalier non si arrendono mai

A volte basta un filo a cambiare la trama.

Provo un affetto particolare per questo libro. Chi lo sa, forse se lo avessi letto in un altro momento mi avrebbe fatto un effetto diverso. Invece ha finito con l’essere il mio compagno fidato di diverse notti insonni durante il lockdown. E ricordo con piacere anche gli scambi di opinioni con chi me l’aveva consigliato. Se penso a La Ricamatrice di Winchester mi viene da sorridere.

Consideratemi un canovaccio ancora vuoto, senza punti da disfare.

C’è da dire che mi è piaciuta tanto la protagonista, Violet. Per gli standard dell’epoca in cui vive, tra le due guerre mondiali del secolo scorso, viene considerata una donna in eccedenza, nubile e difficilmente destinata a sposarsi. Ha perso il fidanzato nel primo conflitto bellico e, ormai vicina ai quarant’anni, il suo destino pare segnato: dato che il padre e un fratello sono morti e l’altro fratello è sposato con prole, ci si aspetta che tocchi a lei restare a occuparsi della madre, autoritaria e anafettiva. Ma questo è un romanzo di Tracy Chevalier e praticamente mai i suoi personaggi femminili fanno quello che il mondo si aspetta dalle donne.

Ma è questo che ci si aspetta da noi donne, no? Dobbiamo dare, dare, e aiutare gli altri, qualunque sia il nostro stato d’animo. È stancante e ingrato, a volte. Vorrei poter fare come te, salire sulla torre e non pensare ad altro, non sentire altro che il suono delle campane che vibra dentro di me. Penso che mi sentirei in Paradiso.

Non sempre sono stata d’accordo con lei, ma ho amato lo spirito ribelle di Violet. Che cade però si rialza, che spesso non può evitare di sentirsi in colpa anche se non dovrebbe. Perché a noi donne capita, il mondo ci spinge a dubitare di noi stesse, della validità dei nostri desideri. Eppure Violet non molla. Vuole l’indipendenza, una vita sessuale, la possibilità di fare esperienze, di innamorarsi, di valicare limiti. Dall’inizio alla fine del libro, l’ho vista compiere uno dopo l’altro tanti piccoli, grandi, a volte immensi, atti di libertà. Per certi versi mi è quasi parso che l’autrice qua e là le abbia fatto pagare pegno, ma Violet ne è uscita vincitrice. Una donna che si è rifiutata di restare dentro la casella assegnata dalla società.

Naturalmente aveva sentito parlare di quel tipo di donne e delle amicizie carnali che venivano attribuite alla scarsità di uomini, un tentativo disperato di fuggire dalla solitudine. Però guardando Gilda e Dorothy non si aveva quella sensazione: sembravano semplicemente fatte l’una per l’altra.

Inserendo nella trama anche la storia omosessuale di Gilda e Dorothy, Tracy Chevalier ha guadagnato ai miei occhi  almeno mille punti. Colpisce allo stomaco  leggere della convinzione  che l’attrazione fra donne fosse dovuta alla mancanza di uomini… La stessa Violet, quando realizza l’inclinazione dell’amica Gilda, sembra sulle prime non riuscire a crederla reale. Un tipico effetto del pensiero patriarcale, purtroppo. Ma, proprio come Violet, anche Gilda e Dorothy sono donne che non si piegano e lottano per difendere e mantenere il loro legame, vero e meritevole di essere considerato tale come qualsiasi altro amore. Peccato solo che la loro sia una vicenda secondaria.

Al di là delle vicissitudini  dei personaggi, si sa che ogni libro di Tracy Chevalier è anche una festa di dettagli storici curati e affascinanti. In questo caso, oltre alle tetre ma dovute riflessioni sul nazismo che si stava tristemente affermando, si parla dell’arte del ricamo e di quella campanaria. Il ricamo, lo ammetto, non fa per me, anche se mi piacerebbe vedere i cuscini ricamati della cattedrale di Winchester,  ma i concerti di campane mi hanno veramente conquistata. Le scene in cima al campanile sono tra le mie preferite. 

Violet guardava gli uomini in movimento e ascoltava i rintocchi delle campane, e per qualche istante suoni e gesti diventarono una cosa sola. Era come guardare un balletto e allo stesso tempo ascoltare un concerto.

Il ricamo comunque è alla base della storia. Le nostre vite sono un disegno complesso e, come recita il titolo originale, basta un filo, un unico filo per modificare l’intera immagine. Questo ha fatto Violet, questo hanno fatto Gilda e Dorothy. Hanno osato ricamare in libertà.

E poi ecco una splendida coincidenza: proprio quando io sto divorando tutta la produzione di Tracy Chevalier, per festeggiare i vent’anni del suo più grande successo, La ragazza con l’orecchino di perla, Neri Pozza da oggi, 3 settembre, ripubblica i suoi romanzi con una nuova veste grafica e le copertine realizzate da gatsby_books, già autore anche della bellissima copertina di La Ricamatrice di Winchester.

L’illustratore – seguitelo su Instagram, fa cose stupende! – ha raccontato di avere avuto la consulenza e l’approvazione di Tracy Chevalier in persona per i dettagli di ogni singola copertina. Io conto di collezionarle tutte e di recensirvi i titoli per farvele ammirare meglio.

Per chi non conosce questa autrice è il momento giusto per scoprirla. Magari iniziando proprio da La Ricamatrice di Winchester.

Edizione gennaio 2020 Neri Pozza

Traduzione di Massimo Ortelio

Pagine 289

Le confessioni di Frannie Langton: del nero e del bianco, del rosso come il sangue, dell’amore, che ha più sfumature

E cosa fanno due donne in una stanza tutta per loro? Non è forse questa la domanda che turba di più i miei accusatori?

C’è qualcosa di molto seducente in questa storia. Una seduzione di stampo gotico, oscura e insieme dolce. Quel senso di passione profonda che  rievoca velluti e intimità nascoste, mescolato all’inquietudine generata da ciò che è corrotto e deviato. Me ne sono innamorata.

Un uomo scrive per distinguersi dalla storia collettiva. Una donna per poterne far parte. Quali sono le mie intenzioni nello scrivere queste pagine? La risposta è semplice: si tratta della mia vita, e voglio essere io stessa a metterne insieme i pezzi.

Incontriamo Frances Langton nel carcere londinese di Newgate. Sta per essere processata per omicidio plurimo, rischia la condanna a morte. Su richiesta del suo avvocato difensore, in cerca di appigli per aiutarla, si mette a scrivere la propria verità, racconta di se stessa, sin dall’infanzia. È nata schiava ma è istruita e con un passato molto più complicato di quel che si potrebbe credere.

Le confessioni di Frannie Langton è quindi un thriller storico? Una storia di delitti, sangue e misteri?

Questa però è una storia d’amore, e non solo la cronaca di un assassinio, anche se non so se è la storia che ti aspetti.

Sì, questa è anche, forse soprattutto, una storia d’amore. Un amore proibito in praticamente tutti i modi possibili, tragico sin dall’inizio. Nella Londra del primo Ottocento, la passione nasce fra due donne, una mulatta e una bianca, una cameriera che è stata schiava e la sua padrona. Una presunta omicida e la sua vittima. Nessun incauto spoiler da parte mia: il lettore sa fin dalle prime pagine che Frances è accusata di avere ucciso la sua Madame. E sa che lei l’amava.

Io avevo un ago di felicità nel petto, un dolore così acuto che temevo potesse uccidermi, la mente ancora infuocata da ciò che Madame e io stavamo facendo fino a pochi minuti prima.

Ho amato molto questa relazione già segnata, priva di equilibrio eppure così perfetta. Frances, impetuosa, introversa, indurita dall’esistenza ma anche capace di un amore spontaneo, affamato, sfacciato nella sua purezza. E Meg – Madame – affascinante e fragile, colma di contraddizioni e vuoti da riempire, bella e interessante come il quadro di un pittore ribelle, come il demonio. E come il demonio, pare, altrettanto dolce. Separate dalle origini e dalle circostanze, ma anche ugualmente prigioniere della loro condizione, del loro genere, degli obblighi e della solitudine. Sara Collins ha saputo costruire fra loro qualcosa di carnale, delicato e intossicante. Qualcosa che, nel bene e nel male, assomiglia all’oppio, da cui entrambe le donne sono dipendenti.

Prima che cominci a divorarti dall’interno, l’oppio è come una fiamma. È pura energia, e nello stesso tempo calma assoluta. Contrae le maglie del cervello. La gioia si trasforma in estasi. Ma la cosa migliore è che fa defluire via il mondo.

In questo libro, però, oltre alla passione e al mistero, ci sono anche disturbanti, acuti spunti di riflessione sul razzismo e sulla diversità. Si parla di sperimentazioni sulle persone nere per scoprire e confermare differenze fisiche, cerebrali e cognitive, e sono pagine davvero inquietanti. Il velo di mistero sulle atrocità a cui Frances ha dovuto assistere in Giamaica le rende ancora più spaventose e aberranti. Bastano pochi dettagli, barlumi di procedimenti indicibili nel segreto di un capanno e la pelle si accapona, il senso di orrore è inevitabile.

Sapevo anche troppo bene che gli occhi hanno solo due scelte. Aprirsi o chiudersi. Quando si spalancano troppo e diventano troppo neri, è perché non possono fare spazio a tutto ciò che hanno visto.

Le confessioni di Frannie Langton è, alla fine, la storia dolorosa e struggente di una donna, la cui voce ci raggiunge attraverso il tempo e le pagine e ci racconta cosa significa essere tutto ciò che il mondo e gli uomini ritengono sbagliato. Merita di essere ascoltata.

Ebbene, la mia colpa è questa: sono una donna che si è innamorata di un’altra donna, il peggiore tra i peccati femminili, insieme alla sterilità e al raziocinio.

(Edizione gennaio 2020: Einaudi

Traduzione di Federica Oddera

Pagine 432 )

La via dei pianeti minori: tra il passato e il futuro ci sono le stelle, le cose non dette e l’emozione dell’attesa

Che cosa vedevano tutti loro lassù che li teneva incollati oltre l’ora del sonno?

Nel mese di luglio, la cometa Neowise ha attraversato il nostro cielo e anche al centro di La via dei pianeti minori c’è una cometa, che, con il suo viaggio siderale, fatto di ritorni periodici, scandisce le vite di un gruppo di astronomi e delle persone ad essi legate, per venticinque anni. Un quarto di secolo in cui uomini e donne invecchiano e muoiono, figli nascono e crescono, amori iniziano e matrimoni finiscono. Venticinque anni di scelte, cambiamenti ed errori, che si aprono e si chiudono su un’isola tredici giorni nel passato. Sì, avete letto bene: un’isola in cui il calendario gregoriano non è mai stato accettato e quindi si trova tredici giorni indietro rispetto al nostro tempo. Su quest’isola la cometa è stata scoperta e lì, in una notte di osservazione del 1965, accadrà un tragico incidente determinante per il futuro.

Che strano che le cose possano rivoltarsi così su se stesse a posteriori, pensò. Che il futuro sia sempre così inevitabile, e che il passato continui a cambiare forma.

Di nuovo, Andrew Sean Greer ha saputo conquistarmi. Mi aveva finora abituata a storie con pochi personaggi e dal ritmo piuttosto serrato ed ecco che invece questa volta mi sono ritrovata immersa in una trama insolitamente corale e dilatata nel tempo. All’inizio questo mi ha un po’ spiazzata ma poi lentamente sono scivolata nel flusso di tutte quelle esistenze intrecciate tra loro, cadenzate dai passaggi di una cometa. Perché, nonostante l’approccio narrativo appaia differente, l’abilità di Greer nel tratteggiare i sentimenti e i caratteri è sempre la stessa. Ha una delicatezza particolare nei confronti dei suoi personaggi, un’empatia profonda che si trasmette anche ai lettori. Non siamo solo spettatori di queste vite, riusciamo a comprenderle, a non giudicarle. E poi in questo caso ha parlato di stelle e di passione per l’astronomia. Un invito a nozze per me, inevitabile amarlo ancora di più.

Noi siamo sordi a ciò che la vita ci prepara.

È una storia dal retrogusto amaro, questa, anche piuttosto triste. Il senso di estraneità del cielo, lassù, è ben calibrato con quello di precarietà quaggiù. Le cose che capiamo troppo tardi, i fraintendimenti, quella mano che non ci siamo decisi a toccare, quella persona che aspettiamo, che forse aspetteremo sempre, sul sentiero. Comete, mondi, altre galassie ruotano sopra le nostre teste, in tempi e velocità che la mente stenta a contenere, e noi siamo qui, impegnati a non capirci, a inseguirci sbagliando le svolte, cercando la porta giusta per una chiave, per poi volare via verso il mare, come polvere.

Aveva sempre sperato che ci fosse tempo a sufficienza, che si potesse condurre una certa vita e poi, quando si fosse appannata, scambiarla con quella che avevi sempre desiderato; ma il tempo era finito. Era andato in fumo.

Però non crediate che sia una lettura deprimente. In realtà, in questo periodo così insolito, che aumenta le nostre insicurezze, può essere una lettura invece necessaria. Spinge a riflettere, a ricordarci che il tempo scorre e troppo spesso lo lasciamo passare senza impiegarlo davvero. Senza esporci. Sembrano concetti scontati, ma sappiamo tutti che la quotidianità ci distrae e ci fa mettere da parte anche ciò che è ovvio.

Nel mio cuore di lettrice, comunque, resterà l’immagine di un ragazzo che, pieno di emozione e ansia crescente, resta ad aspettare che la porta di casa si apra. La porta da cui deve entrare l’uomo che ha scelto. Un’attesa che contiene già tutti i futuri possibili di un amore e di una vita insieme. Voglio credere che per lui, lì, trepidante, con il cuore a mille per la gioia e la paura, si tratti dell’attesa giusta.

No, l’amore non era quello che gli avevano mostrato. Non il cortese accumulo di affetto. Non la sedimentazione del cuore. Era qualcosa che ti mette in grave pericolo e, come nel caso di Josh quando si sedette di nuovo a fissare la porta, che ti si annida nel cuore come una molla compressa.

(Edizione maggio 2019: La nave di Teseo

Traduzione di Elena Dal Pra

Pagine 395)

Quando cadono gli angeli: certi libri sono inattesi colpi di fulmine

Se ho il vuoto intorno sono terrorizzata, se sono in mezzo alla gente sono terrorizzata. In poche parole non c’è  un posto che mi vada bene  – sono sempre o troppo vicina o troppo lontana dal fuoco.

Con i libri accade come con le persone. Ci si incontra. A volte è un incontro che abbiamo cercato, un’attrazione o una simpatia nate spontanee che assecondiamo. A volte le nostre strade si incrociano per caso, un giorno in cui eravamo usciti per cercare altro. Oppure si tratta di incontri combinati. Qualcuno di cui ci fidiamo ci presenta un libro sconosciuto e, nonostante la diffidenza per gli appuntamenti al buio, cediamo alla curiosità e… Sorpresa! Scatta un inatteso colpo di fulmine! Esattamente quello che mi è accaduto con Quando cadono gli angeli di Tracy Chevalier.

Pensavo che volessi fare l’astronoma ma adesso so che mi sbagliavo. Basta che tu faccia qualcosa, non mi interessa cosa. Fuorché la moglie. Ma questo non dirlo a papà.

È stato un incontro al buio in cui la curiosità andava di pari passo con una certa dose di pregiudizio. Dopo avere letto davvero troppi anni fa il celeberrimo La ragazza con l’orecchino di perla, avevo acquistato almeno altri tre titoli di Tracy Chevalier lasciandoli nella pila dei libri ancora da aprire. Nel tempo mi ero fabbricata un’idea preconcetta su di lei, la pensavo la classica autrice di romance storici (non che ci sia niente di male negli storici puramente romance ma è un genere che ho gradito in passato e poi abbandonato). A proposito di Quando cadono gli angeli ricordo una citazione un po’ riduttiva del Corriere della Sera che parlava di “amore e morte ai tempi delle suffraggette“.

Sembrava che tutti stessero dicendo: “Botte alle nonne”. Solo alla terza volta ho capito che dicevano: “Il voto alle donne!”

Chiarisco: non è che l’amore, la morte o la suffragette non c’entrino. C’entrano, eccome, ma non nella maniera e nelle forme in cui ci si potrebbe aspettare. Sono tutte cause ed effetti di un insieme più complesso. La cosa più affascinante  è  l’approccio narrativo adottato dall’autrice, che fa sembrare un intreccio molto ricco e profondo quasi semplice, almeno alla prima occhiata.        La trama copre dieci anni dell’esistenza di due famiglie (vicine di casa e di tomba), dalla morte della regina Vittoria, nel 1901, a quella di suo figlio, re Edoardo, nel 1911. Tracy Chevalier alterna le voci dei tanti personaggi in prima persona, in veloci capitoli brevi (alcuni addirittura di una sola riga), scritti con un tono colloquiale, spontaneo, ironico e moderno, che prende le distanze dalla classica narrazione sotto forma di diario o dialogo epistolare tipica di molti libri d’epoca. Nella traduzione italiana di Luciana Pugliese, specie quando a esprimersi sono i bambini o la servitù, viene usato un linguaggio “parlato”, con evidenti “libertà” grammaticali, che rende perfettamente le singole età, personalità, educazioni. Se in principio questo mi ha spiazzata, poi è diventato  la motivazione principale del mio innamoramento: mi ha spinta ad apprezzare ogni personaggio, anche quelli ben poco simpatici, perché ho comunque conosciuto i loro intimi punti di vista, esposti così come li pensavano, naturali, imperfetti, autentici. Kitty, Maude, Simon, Ivy May… Alcuni hanno conquistato un posto speciale nel mio cuore, ma davvero sono in generale una carrellata di personaggi memorabili.

Da sopra la sua spalla ho visto cadere una stella. Ero io.

Vite tutto sommato ordinarie, sembra non succedere niente e poi invece succede tutto. Si ride anche, molto. E si soffre, all’improvviso. Gli angeli cadono quando, distratti, si sta guardando altrove. Angeli di pietra, come quelli del cimitero al centro della storia, dove nascono e muoiono amicizie, amori, destini e delicati legami silenziosi, più forti delle parole. Angeli di fuoco, che se ne vanno via trovando la libertà nella scia di una cometa.

Il cielo è bello, visto da due metri e mezzo più in basso.

Ringrazio chi mi ha “presentato” questo libro. Quanto è prezioso un consiglio che cancella un pregiudizio?

(Articolo aggiornato con la copertina di gatsby_books della nuova edizione settembre 2020 Neri Pozza

Traduzione di Luciana Pugliese

Pagine 363)