Nessun dorma: la sfida coraggiosa di un giovane autore in cui vale la pena credere

Il suo talento di interprete e la sua voce non comune sono ben noti nel mondo del teatro musicale nostrano, ma ora il pubblico avrà l’opportunità di conoscere e apprezzare Luca Giacomelli Ferrarini anche come autore e regista di un testo drammaturgico originale. Il 31 maggio 2022 il giovane artista villafranchese ha infatti presentato al M.A.S. Music Art & Show di Milano il suo Nessun Dorma, a cui ha lavorato negli ultimi cinque anni, insieme a Marco Spatuzzi, che ne ha composto le musiche. Lo spettacolo è stato proposto in forma privata, per gli addetti ai lavori e la stampa – un passaggio necessario per arrivare alla distribuzione al pubblico – e ringrazio l’autore/regista per avermi consentito di essere presente, con il mio piccolo blog. È stato un onore e vi racconterò perché questo coraggioso progetto artistico merita lunga vita e i palchi di tanti teatri.

Cristian Ruiz è Giacomo Puccini

Nessun dorma racconta un tragico episodio realmente accaduto e a lungo rimasto nascosto della vita del grande Giacomo Puccini. Una vicenda che ruota intorno al rapporto controverso e viscerale che legava il compositore alla moglie Elvira e che coinvolge una giovanissima domestica della loro casa a Torre del Lago, Doria Manfredi. Luca Giacomelli Ferrarini ha delineato molto bene i personaggi, vitali, solidi, veri, costruendo una trama di forte presa che si regge in buon equilibrio tra i brani musicali e la prosa. I dialoghi colpiscono per la naturalezza e il realismo, portano direttamente dentro la storia.

Floriana Monici è Elvira Bonturi

Le musiche di Marco Spatuzzi sono sempre una garanzia e anche in questo caso si confermano di notevole bellezza, soprattutto nell’uso degli archi, variando dallo struggente e cupo al brioso, sino a momenti di forte impatto emotivo. Le liriche di Luca Giacomelli Ferrarini sono tutte da ascoltare con attenzione, importanti tanto quanto i dialoghi. Le melodie e diverse strofe restano impresse nella memoria. Belle e delicate le citazioni da Suor Angelica, opera centrale del famoso Trittico pucciniano, con un ruolo fondamentale nello spettacolo. Uno dei tratti più affascinanti del testo è infatti la rappresentazione della creazione artistica, il legame tra l’artista e i personaggi che prendono vita dalla sua immaginazione, la ricerca dell’ispirazione, il rapimento creativo che può portare all’isolamento e all’esclusione di chi è più vicino. Ammetto che avrei milioni di domande da porre all’autore su questi temi.

Giulia Fabbri è Doria Manfredi

Di prim’ordine il cast.

Cristian Ruiz è apparso molto a proprio agio nei panni di un Giacomo Puccini dal fascino sicuro e maturo, con una sottile fragilità che emerge nelle sue contraddizioni, la sua solitudine, il suo bisogno di superare il blocco creativo, il suo egocentrismo artistico,  forse il peggior rivale della moglie, ben più delle altre donne. Mi sono piaciuti moltissimo i suoi dialoghi e i duetti con Elvira, interpretata con forza e passione da Floriana Monici, molto brava nel rendere una personalità complessa, dominante e difficile da gestire tanto quanto quella del marito.

In balìa di queste due figure così debordanti e potenti che si cercano e si scontrano, spicca come un fiore l’inesperta e indifesa Doria Manfredi, a cui una vibrante e luminosa Giulia Fabbri ha donato spontaneità, voglia di vivere e sognare, disarmante innocenza. Impossibile non rimanerne toccati e coinvolti, non sperare di poterla proteggere.

Luca Giacomelli Ferrarini è Michele Donati

Per se stesso, Luca Giacomelli Ferrarini ha confezionato un personaggio per lui piuttosto inedito, il semplice e dolce giardiniere Michele, che porta una nota di allegria e tenerezza all’interno del dramma. La sua simpatica goffaggine ha divertito e conquistato il pubblico, accompagnata da un fondo di amarezza e commozione. Credo che molti di noi presenti lo avrebbero volentieri adottato.

Aggiungo che proprio nel ruolo di Michele  l’autore/regista si è concesso una licenza poetica legata al mondo delle fiabe (non scendo in dettagli per non rovinare le future visioni) che, lungi dall’essere fuori luogo, funziona benissimo nell’insieme ed oltretutto gli offre la possibilità di esibirsi in un autentico pezzo di bravura.

Francesca Taverni è la zia principessa

Un discorso a parte va fatto per Angelica e la zia principessa, evocate dalla fantasia di Puccini, che sta componendo Suor Angelica e le sovrappone alle donne reali della sua vita. Sogni, quasi spettri, che conferiscono una sorta di sfumatura gotica all’atmosfera generale. Francesca Taverni, come sempre stratosferica, ha dato vita a una principessa severa e indurita dal dolore, privata della capacità di provare compassione. L’unione della sua voce con quella di Floriana Monici ha strappato brividi.

Noemi Bordi è stata proprio una sorpresa e mi ha rubato il cuore. Una meravigliosa Angelica,  tormentata e bellissima, profondamente sola e commovente. Insieme all’appassionata Doria di Giulia Fabbri ha raggiunto vette davvero strazianti, nella migliore tradizione lirica delle eroine pucciniane.

Noemi Bordi è Suor Angelica

Non vanno dimenticate le scenografie a cui ha collaborato Nicola Zogno. Su uno sfondo blu come un cielo al crepuscolo, la casa dei Puccini a Torre del Lago rivive in una commistione di arredi d’epoca e di linee essenziali più moderne, poste su una piattaforma girevole che rappresenta il vinile di un grammofono e che ruotando fa scorrere gli spazi, i personaggi e gli avvenimenti. L’ho trovata un’idea davvero brillante. Personalmente mi ha fatto pensare anche a una sorta di lanterna magica, che proiettava ombre e voci del passato.

Belli e molto curati anche i costumi di Maria Luisa Mammetti. E, come  sottolineato nella locandina completa, alla realizzazione e alla messa in scena dello spettacolo hanno partecipato Eva Bruno (disegno luci), Mirko Marogna (disegno fonico), Martina Sandri (acconciature) e Serena Sannino (assistente). Ringraziamenti vanno anche a Francesca Longhin, Nicolò Slavik e Adelaide Guglielmi. La maggioranza di loro, così come il cast, ci ha tenuto a testimoniare la volontà e la tenacia di Luca Giacomelli Ferrarini nel concretizzare questo sogno e soprattutto quanto la sua visione di autore e regista sia sempre stata molto chiara e precisa.

Dal mio punto di vista di spettatrice posso dire che questo spettacolo ha caratteristiche che lo rendono apprezzabile sia da un pubblico che ama il musical sia da quello che preferisce la prosa. È una storia tutta italiana che racconta e celebra l’arte italiana e questo lo ritengo un valore aggiunto. Soprattutto ha un’anima che emoziona. Durante la serata il coinvolgimento emotivo in platea era unanime e palpabile. Alla fine ricordo di aver cercato gli occhi della persona accanto a me e ci ho letto gli stessi miei sentimenti. Se un’opera teatrale arriva al cuore di chi guarda per me ha già vinto.

Spero vivamente che Nessun dorma trovi la propria strada e riesca presto ad essere visto e amato da più pubblico possibile. Nel mio piccolo farò del mio meglio per supportarne il percorso. Vi invito a seguire la pagina ufficiale Instagram dello spettacolo per restare aggiornati sulle prossime news.

Concludo con un particolare suggestivo. Come già detto Nessun dorma è stato presentato lo scorso 31 maggio, a Milano. E sempre a Milano, il 31 maggio 1884 veniva presentata Le Villi, la prima opera di Giacomo Puccini.

Ci pensate?

Perché io ci ho pensato.

Nella stessa data, nella stessa città, a centotrentotto anni di distanza, due giovani autori hanno affrontato la loro scommessa. E credo che siano stati capaci di parlarsi.

Le vie dell’Arte sanno incrociarsi in modi sublimi.

Rent 2020: l’Amore e la Bellezza esistono, li ho visti riempire un teatro

Viviamo in un periodo scoraggiante, in cui dilagano odio, pregiudizio, paura. A volte la sfiducia, la voglia di non credere più in un mondo diverso prevalgono…

Poi arriva una serata come quella del 3 febbraio 2020 al Teatro Duse di Bologna. Un evento unico che travolge emozioni e dubbi con tutta la sua colorata, vibrante energia. E di colpo la Bellezza e l’Amore diventano di nuovo possibili.

Rent 2020 non è stato solo la celebrazione di un’epoca e di uno spettacolo storico, con uno sguardo affettuoso a come eravamo, ma ha parlato anche al nostro presente e soprattutto al futuro, che può ancora cambiare, che è ancora da raccontare, sognare, costruire.

La poesia si è alternata alla gioia, la commozione alle risate, i ricordi ai sogni. Su tutto ha trionfato un senso profondo di coesione e lo spirito della vie boheme si è propagato come un’onda per tutto il teatro.

Eravamo tanti, tantissimi. Quelli che c’erano vent’anni fa, al debutto italiano di Rent e che hanno vissuto e accompagnato lo spettacolo nel suo percorso. Quelli che non c’erano e magari, come me, hanno imparato ad amare Rent e i suoi personaggi attraverso il film.

Tutti fantastici e appassionati gli artisti sul palco, lì a loro spese, animati dal puro desiderio di condividere emozioni. Colpevolmente molti non li conoscevo, mentre altri, tra cui la sempre incredibile Francesca Taverni e il grande Cristian Ruiz, sono performer che seguo e apprezzo da tempo.

Per fortuna o destino, proprio Cristian Ruiz vestiva i panni sgargianti di Angel, il personaggio di Rent che più amo, quello per cui, a ogni visione del film, ho sempre consumato un sacco di fazzoletti. Le lacrime sono arrivate anche questa volta, lacrime diverse, speciali, perché Angel non solo è tornato a vivere – più che mai!- ma ha fatto vivere e esplodere di gioia ed energia tutti noi. La quarta parete si è dissolta, palco e platea si sono mescolati. Un momento straordinario.

Un momento che non dovrebbe durare solamente lo spazio di una notte, di un ricordo. Dovremmo avere la capacità di portarne l’essenza con noi, di renderla nostra.

In questi vent’anni tanti passi avanti sono stati fatti contro l’Aids, contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, contro le chiusure mentali, la disinformazione e il bigottismo, ma le barriere da abbattere restano ancora molte, troppe. Servono la tenacia e l’ispirazione con cui Jonathan Larson ha creato Rent e l’audacia con cui Nicoletta Mantovani lo ha portato in Italia. Abbiamo bisogno di questo tipo di creatività coraggiosa, di qualcuno che non tema le sfide. Dobbiamo svegliarci, crescere, smettere di avere paura, scrollarci di dosso il peso morto dell’ignoranza.

Un evento come Rent 2020 ci ricorda quanto alimentare il cambiamento sia fondamentale, urgente, necessario.

Ancora in preda all’entusiasmo di questa grande serata, mi sto illudendo?

Voglio credere di no. L’Amore e la Bellezza esistono. Io li ho visti riempire un teatro. E se è successo, ci deve essere una speranza. Per l’Arte, per la società. Per chi c’era, per chi non c’è più, per chi ci sarà.

#notdaybuttoday

(Fotografie di Luca Bazzi)

Sweeney Todd: un musical in nero che non teme di essere meravigliosamente differente

Lo chiarisco subito, questo non è un musical qualsiasi. Immaginate un tuffo nella migliore tradizione gotica, con ingredienti come sangue, morte, stupro, follia, ossessione, ma anche amore e passione, poi aggiungeteci una partitura di particolare complessità, ricca di duetti e quartetti impossibili, dissonanze, cambi di ritmo. Con Sweeney Todd, quarant’anni fa l’autore Stephen Sondheim ha dato vita a una struttura musicale e narrativa davvero innovativa e bizzarra, molto vicina – almeno nella mia personalissima percezione- alle suggestioni vocali e tecniche dell’opera lirica. Qualcuno potrebbe definirla strana o difficile, ma, come mi ha detto in questi giorni una persona ben più esperta di me di teatro e musical, il pubblico italiano deve imparare a misurarsi con il difficile, con l’insolito, con il differente. Non potrei trovarmi più d’accordo e quindi il regista Claudio Insegno e la produzione di Dimensione Eventi si meritano un applauso già solo per avere raccolto la sfida di portare nel nostro paese – sempre un po’ affetto da eccessiva cautela – un musical come questo. Una sfida necessaria, che sono stata felice di sostenere, assistendo alle due repliche andate in scena una settimana fa, il 31 ottobre e l’1 novembre 2019, al teatro Colosseo di Torino.

Cosa mi ha colpita di più?

Il cast. Un gruppo di attori molto affiatato e motivato, andati in scena in tempi brevissimi e messi a confronto con pezzi che io – da profana- trovo tecnicamente spaventosi. Non è casuale che Claudio Insegno li definisca i suoi Avengers.

Al comando di questa squadra di supereroi, nei panni vendicativi del protagonista Sweeney Todd, un conte di Montecristo in versione dark, c’è Lorenzo Tognocchi, la cui giovane età mi aveva lasciata inizialmente piuttosto perplessa. In generale però trovo che abbia superato la prova: la presenza scenica c’è e la voce, con una punta di tonalità scura, acquista forza lungo il percorso. Mi ha convinta al momento di Epiphany (che aspettavo) e la sua interpretazione si è fatta sempre più efficace e solida.

Al suo fianco, una vera regina del nostro musical, ovvero Francesca Taverni, in uno dei ruoli femminili più memorabili del teatro musicale, quel piccolo capolavoro di ironia e letale, psicotica tenerezza che è Mrs Lovett. Fantastica e anche bellissima, specie nel costume del secondo atto. L’ho amata molto in By the sea.

Il giudice Turpin di Simone Leonardi mi ha conquistata (artisticamente parlando): il suo Mea culpa è uno dei brani più inquietanti dello spettacolo, una sorta di cantilena ossessiva, che ricorda il movimento lento ma pericoloso di un serpente. È un cattivo molto british, costruito per sottrazione e anche con un tocco ironico. Arriva dove deve arrivare con studiata eleganza. Chapeau.

Un personaggio che nell’adattamento cinematografico di Tim Burton avevo trovato piuttosto insignificante era il marinaio Anthony Hope. Per fortuna nella versione teatrale di Sondheim ha un ruolo più ampio e significativo e Luca Giacomelli Ferrarini ne incarna perfettamente lo spirito positivo (forse l’unico davvero tale nella storia) e la fresca, entusiasta passionalità. Anthony rappresenta la speranza, come sottolinea il suo nome, e l’aria d’amore che dedica alla bionda Johanna – con voce sempre sorprendente!- è speculare a quella oscura del giudice: laddove Turpin esprime una bramosia disturbante, il canto di Anthony è lirica pura e comunica sano desiderio. Ad Anthony e Johanna (Federica De Riggi, timbro cristallino, molto promettente) tocca in sorte anche Kiss me, impressionante duetto (che poi diventa quartetto) di estrema difficoltà. Bravissimi!!

Vanno ricordati anche gli ottimi Annalisa Cucchiara e Michelangelo Nari, entrambi in due ruoli apparentemente di contorno ma in realtà fondamentali come quelli della mendicante e di Tobias. E anche il malvagio messo Bamford di Vitantonio Boccuzzi e il delizioso Pirelli di Domenico Nappi. Completa il cast l’ensemble pieno di energia, formato da Francesco Bianchini, Sofia Caselli, Chiara Di Girolamo, Elisa Dal Corso, Ciro Salatino, Manuela Tasciotti, Michel Orlando e Niccolò Minonzio. Tutte voci notevoli, tanto più se si considera che la traduzione in italiano ha forse aumentato le insidie tecniche dei brani.

Sebbene io abbia citato i titoli delle canzoni sempre in originale, va infatti precisato che lo spettacolo è interamente tradotto, da Emiliano Palmieri. E qui si pone l’amletica eterna questione: tradurre o non tradurre? Di norma preferisco che gli spettacoli non vengano tradotti, ma capisco l’esigenza di farlo in questo caso, anche per un maggiore coinvolgimento del pubblico. Conoscendo piuttosto bene i testi originali di Sweeney Todd e consapevole dell’impossibilità di una traduzione letterale, direi che il lavoro di Palmieri è ben riuscito e mantiene i significati e la ritmica dei brani.

Di pregio i costumi di Lella Diaz e suggestive le scene di Francesco Fassone. La scenografia, con i pannelli mobili a ghigliottina e lo sfondo che cambia colore, riesce ad essere luminosa nonostante la cupezza della storia. L’orchestra dal vivo aggiunge sempre potenza e aumenta l’emozione.

In ultima analisi, dal mio punto di vista di spettatrice, la regia di Claudio Insegno funziona. Avendo visto diverse versioni americane e inglesi di Sweeney Todd, posso dire che quella italiana si fa onore, conservando un gusto gotico, da favola in nero, che affascina e trasporta tra le pagine dei penny dreadful ottocenteschi. Si freme, si ride, si sogna.

Ora, dopo la data zero di Montecatini e il debutto torinese di Halloween, Sweeney Todd è felicemente approdato al teatro Olimpico di Roma, dove resterà in scena fino al 10 novembre. Poi sarà la volta del teatro Nuovo di Milano, dal 14 al 17 novembre, quindi seguiranno Verona, il 7 e 8 dicembre e Asti, il 31 dicembre. Sono attese anche altre date per il 2020. E, se avete avuto la pazienza di leggere fin qui, mi auguro di essere riuscita ad accendere il vostro interesse.

Io sicuramente lo rivedrò. Amo il teatro coraggioso, gli artisti che non temono le sfide. E sostengo la meraviglia del difficile e del differente, sempre.

(Fotografie di Marco Borelli, Vincenzo Turello e Sergio Cippo)

Il bacio della donna ragno: un bacio che non uccide ma regala magia

Un sogno, una visione, possono salvarci. E anche ucciderci. Allo stesso tempo fonte di speranza e punto di non ritorno. La linea di demarcazione è minima, l’equilibrio fra una possibilità e l’altra fragilissimo.

Questo ho pensato lo scorso 23 giugno 2019, una settimana fa, mentre assistevo alla più recente – e veramente strepitosa- produzione della BSMT di Bologna, in collaborazione con il Teatro Comunale (luogo meraviglioso, fra l’altro).

Di Il bacio della donna ragno, romanzo di Manuel Puig, conoscevo solo l’adattamento cinematografico del 1985, ma ignoravo (mea culpa!!) che ne fosse stato tratto anche un musical, creato da John Kander, Fred Ebb e Terrence McNally e vincitore di vari Tony Awards e anche di un Olivier Award. Una versione – qui con la regia di Gianni Marras e l’adattamento di Andrea Ascari – che, lo ammetto senza esitazione, mi ha totalmente ammaliata. Un allestimento di qualità, partitura potente e soprattutto una visionaria storia di amore, dolore e coraggio.

Impossibile resistere a Molina, uno dei personaggi più delicati e struggenti che ricordi, interpretato da un grande Gianluca Sticotti, incantevole, capace di divertire, commuovere ed arrivare al cuore.

Il vetrinista omosessuale dalla vestaglietta colorata che combatte la durezza e i soprusi del carcere fantasticando sui suoi film preferiti, come quando da bambino giocava e sognava nel cinema dove l’adorata madre lavorava. È grazie ai film, dice, che può ancora credere che esistano bellezza, gentilezza e amore. E sono le sue fantasie sgargianti a contaminare il dramma carcerario fino a farlo sbocciare in un fiore di glamour dai ritmi latini e dalle atmosfere della vecchia gloriosa Hollywood. Al centro lei, la sua musa e figura ispiratrice, la bellissima Aurora, interprete di mille eroine che Molina venera, e anche della inquietante Donna Ragno, l’unica che lo spaventa, perché è come un oscuro presagio e con un bacio porta la morte.

Un ruolo affascinante, perfetto per la sempre unica e inarrivabile Simona Distefano: i costumi (di Massimo Carlotto) degni di una diva dei tempi che furono (l’uccello del paradiso, irresistibile!) ne hanno esaltato la bellezza, le coreografie (di Gillian Bruce) e i brani le hanno permesso di dimostrare una volta di più l’indubbio talento nella danza e nel canto e le svariate incarnazioni di Aurora le hanno consentito di spaziare tra differenti registri recitativi, passando dalla sensualità all’ironia (Russian Movie, momento delizioso!). Soprattutto, nei panni della Donna Ragno, ha attraversato l’intero spettacolo come una magia tenebrosa: tutti noi spettatori siamo rimasti ad attendere con il fiato sospeso il suo famigerato bacio fatale.

E poi Valentin, il prigioniero politico, convinto dissidente, che farà innamorare Molina e segnerà il suo destino: nel ruolo un ottimo Brian Boccuni, che ho molto apprezzato in questa veste drammatica e che ha strappato anche un entusiasta applauso a scena aperta per la trascinante interpretazione di The day after that.

Molto piacevole ritrovare in scena anche Caterina Gabrieli e Francesca Taverni, rispettivamente Marta, fidanzata di Valentin, e la madre di Molina. Poche apparizioni, le loro, ma tutte significative, in particolare in due delle canzoni più emozionanti, Dear one e I do miracles.

Va ricordato anche Raffaele Latagliata, un direttore del carcere veramente bravo a farsi odiare. Di livello molto alto comunque tutti i componenti del cast, dell’ensemble, del coro e del corpo di ballo (una menzione speciale per i ballerini nel Morphine Tango). Devo citare anche le suggestive proiezioni da un’idea originale di Andrea De Micheli e l’orchestra del Comunale diretta da Stefano Squarzina.

Un peccato che un allestimento di tale pregio sia stato prodotto per soli cinque giorni. Spero che possa essere riproposto. Sono riuscita a rendere l’idea dell’effetto che mi ha fatto?

Un po’ come se mi avesse davvero baciata la donna ragno, ma è stato un bacio fatale in senso buono, portatore di magia.

Concludo con un pensiero per Molina: amico, alla fine non hai fallito. Hai sempre agito per sincero amore. E questo fa di te un vincitore.

(Fotografie di scena di Rocco Casaluci

Fotografia della ragnatela tratta da una storia Instagram della BSTM)

Fame: ricordate i loro nomi

Oggi è la giornata mondiale del teatro e quindi è l’occasione giusta per parlare di uno spettacolo che racconta proprio di chi sogna una vita sul palcoscenico.

Il musical Fame, creato da David De Silva, è infatti ispirato al celebre film e alla successiva serie tv degli anni ’80, Saranno Famosi, ambientati nelle aule della High School of Performing Arts di New York, dove si studiava e si lottava per diventare artisti e performer. I nomi dei personaggi dell’allestimento teatrale sono diversi, ma per chi ha amato il film e il telefilm non è difficile ritrovare caratteri e situazioni che rimandano ad essi.

Prodotta da Wizard Productions e di nuovo con la regia di Federico Bellone (ripresa da Giuseppe Musmarra), la versione italiana è ritornata a Milano dopo tre anni, dallo scorso 8 marzo 2019, forte di un cast davvero di grande livello e dell’atmosfera intima e raccolta del teatro San Babila, che consente maggiore coinvolgimento per il pubblico e trasmette una sensazione generale di calore e energia. Come già nella passata edizione alcuni spettatori possono anche assistere allo spettacolo direttamente dal palco.

Entrando nel dettaglio, va detto che la trama di Fame è piuttosto esile e risente di una costruzione troppo episodica, ma non mancano comunque gli spunti di riflessione, legati a tematiche importanti, seppure appena accennate.

《Sono speciali》

《Sono persone》

Ad esempio le difficoltà di apprendimento e disciplina del ballerino Tyrone (Axel Ahonoukoun), portano allo scontro tra l’insegnante di danza (un’ottima Simona Samarelli) e la direttrice (la sempre gigantesca Francesca Taverni), divise sulla necessità o meno di una solida istruzione scolastica per chi persegue una carriera artistica.

Altro esempio è quello di Mabel (la spumeggiante e indimenticabile Michelle Perera) che, con molta simpatia, pone l’accento sul dramma dei problemi di peso e alimentari, di certo particolarmente rilevante per degli adolescenti che vogliano farsi strada nel mondo dello spettacolo.

Diranno 《Eccola, Carmen! Non l’opera, non il film, ma lei in persona!》

Una delle storie più profonde resta soprattutto quella di Carmen, emblema del vero talento che si brucia nel tentativo di brillare troppo in fretta e di ricercare il successo più facile e ingannevole. Ad interpretarla l’unica e sola Simona Distefano (nb: da stasera, 27 marzo, nel ruolo si alternerà Giulia Sol).

《Ecco Serena e Nick》

E poi ci sono loro, Nick e Serena, i miei preferiti. Perché a scuola io ero un po’ un misto di loro due, lei teneramente imbranata, lui serio e decisamente distratto. E perché mi ricordano i protagonisti di tanti film anni 80 che vedevo da adolescente e su cui fantasticavo, ancora ignara di tante verità della vita. Luca Giacomelli Ferrarini (Tony in West Side Story e anche responsabile canto di Fame) e Giulia Fabbri (nota al pubblico per Mary Poppins) hanno una bella intesa e dimostrano talento per la commedia romantica, con ottimi tempi comici. Li ho trovati adorabili e devo loro molte sincere risate.

Ma come già sottolineato, l’intero cast è a un livello eccellente: dall’ esilarante Jose Vegas di Tiziano Edini al sensibile Schlomo di Roberto Tarsi, dalla grazia di Marta Melchiorre alla grinta di Beatrice Baldaccini (occhio al suo assolo di batteria!). E poi ancora Rodolfo Ciulla, Giovanni Abbracciavento, Matilde Pellegri, Monica Ruggeri, Davide Sammartano, e, nei ruoli dei docenti, Gipeto e Marco Vaccari. Voglio citare anche le coreografie di Gail Richardson e la direzione musicale di Steve Pritchett.

Ricordate i loro nomi!

Ormai è sera, la giornata mondiale del teatro volge al termine, ma Fame invece, in pieno svolgimento proprio ora, continua e rimarrà in scena al San Babila sino al 14 aprile. Andateci. È uno spettacolo che fa stare bene, mette di buon umore, con quel pizzico di dolce amara nostalgia che possiamo comprendere solo noi che c’eravamo allora. E dentro batte il cuore dell’amore per il teatro e il palco.

《Io voglio magia》

Se infatti la partitura in generale non è tra le più memorabili, il brano solista di Nick, I wanna make magic/ Io voglio magia, poi ripreso in forma corale nel secondo atto, è una sorta di dichiarazione d’amore e d’intenti dell’attore. Poi ovviamente arriva il mitico taxi giallo e Fame, in versione originale. E in un ideale ritorno al passato ci si ritrova nel 1984, quando forse non tutto ma tanto di noi era ancora possibile e ancora doveva accadere.

I’m gonna live forever

Baby, remember my name

(Fotografie di Chloe Car e Giulia Marangoni)