Cose che succedono la notte: inquietante come una sottile crepa nella porcellana

Lascia stare, non importa. Sono cose che succedono la notte.

Questo è il primo libro di Peter Cameron che leggo. È raro – anzi negli ultimi tempi decisamente impossibile- che io scriva un commento a un libro subito dopo averlo finito, ma in questo caso ho pensato che fosse fondamentale parlarne subito, per non smarrire la scia di confusa fascinazione che mi ha lasciato. È stato come ritrovarsi in un episodio di Twin Peaks.

Erano diretti in un posto ai confini del mondo.

Ci sono un uomo e una donna, non sapremo mai i loro nomi. Sono una coppia sposata e vengono da New York: in una notte nevosa arrivano in treno in un luogo lontano e sperduto, a quanto sembra nell’estremo Nord di un imprecisato paese nordico. Hanno affrontato questo lungo viaggio per un motivo ben preciso, ma quel che colpisce nell’immediato di loro è la profonda solitudine di entrambi. La malattia di lei, terminale, li divide: la donna è chiusa nella propria personale dimensione finale fatta di paura, rabbia e speranza, mentre l’uomo è disarmato e impotente, la ama senza sapere come comprenderla o aiutarla.

Sono cose che succedono la notte. Le persone spariscono, sempre che ci siano mai state.

Questo posto che hanno raggiunto, ai confini del mondo, assomiglia a un limbo, soprattutto l’hotel in cui soggiornano, che pare davvero uscito da una fantasia di David Lynch, popolato da personaggi pittoreschi dai comportamenti ambigui. Sono reali (si presume) ma mi hanno fatto pensare a fantasmi, che esistono solo dietro quelle porte, tra la neve, in giorni dalle notti lunghissime, e non possono, oppure non vogliono o non riescono ad andarsene. Una sorta di decadente, surreale purgatorio che gioca con la mente, in cui ci si può perdere, abbandonarsi.

L’uomo scrutò il proprio riflesso, che lo guardava con una fissità ancora maggiore, e per un istante perse il senso del proprio corpo e si chiese da quale parte dello specchio si trovasse in realtà.

Ecco, leggendo mi sono sentita proprio come il protagonista, il personaggio che più coinvolge. Come un insetto sotto un bicchiere, annaspa e sbatte contro il vetro, cercando risposte, rassicurazioni, un contatto umano, l’illusione di amare senza sbagliare, il sole prima che sparisca… Presto o tardi, tutti quanti sperimentiamo questo smarrimento esistenziale, il desiderio di uscire da noi stessi.

Vorrei sottolineare che, pur essendo una storia cupa e bizzarra, non è priva di speranza, ma questa speranza bisogna saperla rintracciare, interpretare. Dovete credere che l’unico ponte per andare via non sia crollato.

Consiglio la lettura quando fuori è buio. Che faccia caldo o freddo non conta, vi assicuro che sentirete comunque profumo di neve. Suggerisco anche musica di sottofondo, magari qualcosa di Angelo Badalamenti, cantato da Julee Cruise. Se poi avete delle tende rosse l’atmosfera sarà perfetta.

Non fatevi troppe domande. Salite sul treno. E immaginate che l’amore sia anche in un paio di guanti per scaldare mani gelide e in un dolce da mangiare, nascosto in tasca.

Una sottilissima crepa in un bell’oggetto di porcellana è più inquietante dell’oggetto in frantumi sul pavimento.

Edizione Adelphi agosto 2020

Titolo originale: What happens at night

Traduzione di Giuseppina Oneto

Pagine 241

Il mondo non è un posto silenzioso: la musica dei Noveis ha dentro il ritmo del viaggio

Li ho scoperti da pochissimo ma loro fanno musica da quasi vent’anni, in un percorso artistico che li ha portati ad esibirsi anche a Parigi e Londra.

Parlo dei Noveis, rock band proveniente dalla provincia di Vercelli, composta da Massimo Benedetti (voce), Andrea Deregibus (voce e chitarra ritmica), Lorenza Ronza (basso), Fabio Badano (batteria e percussioni), Umberto Capaldi (chitarra) e Matteo Sarasso (tastiera e pianoforte).

Il loro lavoro più recente, l’album Il mondo non è un posto silenzioso, è uscito lo scorso febbraio, prodotto dal Phonograph Recording Studio di Pietro Cuniberti, e il primo singolo ad esserne estratto è stato È solo un sogno. Ringrazio il gruppo per avermi dato l’opportunità di ascoltarlo in queste calde serate estive.

Nove brani con testi in italiano che hanno un po’ l’atmosfera della ballata e del racconto e con un sound davvero molto ricco e complesso: bellissimo, ad esempio, quello di Bisogno di niente, che mi ha rievocato certe sonorità degli U2. La band stessa conferma di ispirarsi a tanti gruppi del passato e del presente della musica inglese, ma – la mia è un’impressione del tutto soggettiva da ascoltatrice- io ho sentito nei loro pezzi anche tanta America. Ascoltavo e vedevo le infinite strade deserte degli States, immaginavo quelle note accompagnare un viaggio on the road, sotto cieli giganteschi, magari sostando in qualche bar o pub dove qualcuno potrebbe cantare canzoni come queste, che parlano di emozioni come sanno fare i cantastorie con poco bagaglio e molti sentieri battuti alle spalle. Forse non è un caso che la copertina di Il mondo non è un posto silenzioso (realizzata da Daniele Margara) raffiguri una ragazza in viaggio che ascolta musica con le cuffie, guardando dal finestrino (di un treno? Di un pullman?) un tramonto che ricorda tanto quelli dei panorami americani. Ma in fondo potrebbe essere anche un tramonto inglese o italiano, dietro casa nostra. È la musica a trasportare altrove e quella dei Noveis ha dentro il ritmo del viaggio.

Ascoltateli e capirete cosa intendo. Preparatevi ad andare lontano.

È solo un sogno e se starò sveglio a casa tornerò

(Potete seguire i Noveis su Facebook e Instagram)

Less: come si fa a non amarlo?

Sia benedetto Arthur Less, davvero. Quante risate, dolci e amare, mi ha regalato. Abbiamo trascorso insieme alcune notti, in giro per il mondo, con i nostri bagagli scomodi non poi molto dissimili e la conseguente scia di voli pindarici e inevitabili, patetiche riflessioni.

Assomiglia un po’ a un romanzo di viaggi ottocentesco, Less, uno di quelli in cui i personaggi partivano per lunghe peregrinazioni nelle città d’arte europee e intanto, tra carrozze e crinoline, si sviluppavano intrecci, educazioni sentimentali, epifanie esistenziali.

Anche se non oso immaginare a quali pasticci e traversie sarebbe andato incontro Arthur Less viaggiando nell’Ottocento…

proprio perché ha paura di tutto, nulla gli risulta più difficile di qualcos’altro. Fare il giro del mondo non lo terrorizza più che comprare un pacchetto di gomme. La dose quotidiana di coraggio.

Ho amato Arthur perché è uno di noi. Noi, gli eterni insicuri, quelli che convivono per tutta la vita con il senso di inadeguatezza, con la paura di sbagliare, con l’ansia. Noi che siamo goffi e ci complichiamo il percorso anche su una strada sgombra e diritta. Non possiamo farne a meno. E siamo anche piuttosto ciechi, con i paraocchi come i cavalli da tiro: raramente ci accorgiamo dello sguardo di chi riesce ad apprezzarci. Se ce ne rendiamo conto spesso non ci crediamo, perché ci aspettiamo sempre la fregatura nascosta (o un ago nel piede, fate voi). Less si crede un inetto. Un cattivo scrittore, un cattivo amico, un cattivo amante. A un certo punto lo convincono pure di essere un cattivo gay (e ammetto che sul giardino dei cattivi gay ho riso per dieci minuti, perché davvero solo lui poteva immaginarsi un luogo simile). Non è nessuna di queste cose in realtà, ma non lo sa.

La città della giovinezza, la campagna dell’età avanzata. Ma in mezzo dove sta vivendo ora Less, in questa periferia residenziale dell’esistenza? Com’è che non ha mai imparato ad abitarla?

E l’ansia del cinquantesimo compleanno. Non ci sono poi tanto lontana nemmeno io e quindi, caro Less, quanto ti ho capito anche in questo. Tutta quella strada alle nostre spalle, passata incredibilmente in fretta, e l’incognita del percorso che ci attende, noi che abbiamo ancora l’incertezza dei ragazzini ma non lo siamo più.

Less ha vinto il Pulitzer 2018: non scelgo i libri in base ai premi, né seguo granché i criteri con cui vengono assegnati, ma posso dire che Andrew Sean Greer ha scritto una storia che mi ha sinceramente divertita, mi ha fatto riflettere e che mi è dispiaciuto di aver finito giunta all’ultima pagina. Una storia che mi fa questo effetto per me ha già vinto tutto.

E a proposito del finale – che non svelo- resta uno dei più delicati e teneri che mi sia capitato di leggere da molto tempo. E anche inaspettato, perché, trascinata dalle peripezie tragicomiche di Arthur, ed assomigliandogli molto, proprio non avevo capito qualcosa che il resto del mondo, tranne noi due, forse aveva intuito dall’inizio.

Insomma è stato davvero bello viaggiare con Less, principe ereditario dell’innocenza. Che, a dispetto di tutti i difetti veri e presunti, non rinuncia mai a sognare. Un sognatore, uno vero, magari vestito di blu (blu lessiano!), come si fa a non amarlo?

(Edizioni: La Nave di Teseo

Traduzione di Elena Dal Pra

Titolo originale: Less: a novel

Pagine 292)