8 marzo. Non scriverò le solite cose. Oggi voglio parlare della storia (vera) di una donna, portata in teatro con grande partecipazione da un’altra donna. Un’attrice, quest’ultima, capace di reggere per più di un’ora un monologo senza tregua, che impegna il cuore, il corpo, le emozioni più forti e viscerali. Ottavia Piccolo ci mette veramente l’anima e diventa Haifa, vi porta nella sua storia, ve la fa vivere, vi fa vedere con i suoi occhi.
Haifa, che ha i capelli bianchi e – così le hanno sempre detto- è nata per star ferma. E invece un giorno, dopo un attacco sanguinoso, ecco che si trova a dover fuggire da Mosul con la nipotina di quattro anni. Viaggerà sino a Stoccolma, lungo la cosiddetta rotta balcanica, un calvario di 5000 chilometri, fatto di traversate a piedi, via mare, in treno, di sfruttamento, abusi, violenza. Di muri e frontiere da superare. La meta agognata è sempre dall’altra parte di qualcosa.
I soli effetti speciali in scena con Ottavia Piccolo sono i componenti (una parte) dell’Orchestra Multietnica di Arezzo, che non si limitano a fornire una colonna sonora al monologo, ma lo accompagnano ricreando con la musica (composta da Enrico Fink) i sentimenti che scuotono Haifa e anche gli spettatori, portati via dalla voce di questa piccola donna, dalle sue espressioni, dai gesti, dal corpo che tutto si dona al racconto.
Eravamo tutti silenziosi e attoniti la sera del 18 febbraio scorso al Teatro dei Fluttuanti di Argenta (Fe). Impossibile distogliere l’attenzione, restare indifferenti. Non scorderò quel treno da prendere in corsa, Haifa che grida il proprio nome, il grido disperato di una donna che non vuole essere lasciata indietro, che non vuole arrendersi. Giuro che l’ho visto quel treno, ho sentito il suo sferragliare sinistro nel mezzo della platea, mi è arrivata forte l’onda dell’angoscia di Haifa, del suo desiderio di vivere e ritrovare la dignità.
Davvero potente quindi questo testo firmato da Stefano Massini, non a caso drammaturgo noto a livello internazionale. Parole vive, immagini dai colori che feriscono gli occhi e anche il cuore. La mente va alla tragedia attuale dei migranti, è inevitabile, ma io ho pensato anche all’orrore delle guerre in generale. Guerre che da sempre, ovunque, sono tutte uguali. Distruggono la quotidianità, le certezze di una vita intera, cancellano ricordi e radici. Rubano esistenze e costringono a violente, impietose trasformazioni per sopravvivere. È accaduto in passato, accade ora, purtroppo continuerà ad accadere.
Non sprecate l’aria.
Haifa lo ha ripetuto all’infinito. Nel buio immaginato del container che la stava portando alla conclusione del viaggio e del monologo. E io ho pensato a me stessa, alle donne e agli uomini seduti in teatro. A noi che poi saremmo tornati a casa, tra le nostre cose, alle nostre preoccupazioni quotidiane, alla vita normale. Normalità preziosa, così delicata, così facile da spazzare via.
Non sprechiamo l’aria, ho pensato. Rammentiamo cosa è successo ad Haifa e non sprechiamo l’aria.