Dopo il debutto del 5 ottobre 2023 e un intero mese di repliche al Teatro Nazionale di Milano, Chicago – la nuova produzione firmata Stage Entertainment, per la regia di Chiara Noschese – ha appena iniziato il suo tour, partendo da Trieste e Gorizia. È giunto per me il momento di tirare un po’ le somme e dire la mia.
Faccio una doverosa premessa: Chicago non è mai stato fra i miei musical preferiti. Pur amandone molto alcuni singoli brani (su tutti l’iconico Cell block tango e lo splendido Mr Cellophane), l’ho sempre percepito come uno spettacolo cupo, anche nei colori, che un po’ mi deprimeva e respingeva. Vale lo stesso per il film. Così, quando durante la conferenza stampa di presentazione, la Stage Entertainment e Chiara Noschese hanno annunciato che la loro versione sarebbe stata uno spettacolo no replica (in cui quindi non è possibile replicare ciò che è già stato fatto) e in stile circense, le mie aspettative si sono alzate di parecchio. Non sono una purista, mi piacciono la sperimentazione e la reinvenzione, né mi turbano particolarmente le traduzioni italiane o l’assenza di un’orchestra dal vivo. Per me ciò che conta è che, anche tra mille trasformazioni, venga mantenuta l’anima di uno spettacolo e che vederlo mi porti via, mi faccia dimenticare dove sto, mi emozioni. Ecco, credo che Chicago ci sia riuscito e vi spiegherò perché.
Il Chicago di Chiara Noschese – che oltre a dirigere, interpreta anche una fantastica e molto divertente Mama Morton – ha un ritmo veloce e grintoso, pulsa di colori intensi, strizza un po’ l’occhio ai toni sgargianti di Moulin Rouge e racconta di anni Venti davvero ruggenti, molto glamour. L’ambientazione a tema circense aggiunge un tocco surreale e poetico. La vita, la giustizia, tutto è un circo, in cui i partecipanti gareggiano senza troppe remore o rimorsi per guadagnarsi i famosi, effimeri quindici minuti di celebrità, destinati a durare lo spazio tra una prima pagina e l’altra. Finire in un anonimo trafiletto è questione di un attimo. In questa gara tutti in fondo sono perdenti ma a soccombere sono soprattutto i più fragili e indifesi. Tra i colori e i lustrini, quindi, tutto il cuore oscuro del Chicago originale c’è ancora. L’essenza è mantenuta ma la nuova regia l’ha vestita di intrattenimento, costumi vivaci e nasi rossi da clown.
Oltre alla già citata Mama Morton dalla chioma rossa di Chiara Noschese (e che voce!), lo spettacolo si avvale di un cast di altissimo livello e la trama si regge soprattutto sui personaggi di Roxy Hart e Billy Flynn, rispettivamente la detenuta al centro della storia, in attesa di essere processata per l’omicidio dell’amante, e il suo avvocato, fascinoso incantatore e manipolatore.
La Roxy di Giulia Sol è deliziosa, sembra scritta apposta per lei: oltre alla piena padronanza del canto e della danza, sa trasmettere con efficacia la totale mancanza di morale del personaggio, la sua ansia di conquistare il pubblico e rimanere in vetta, rendendola però allo stesso tempo irresistibile, divertente e accattivante.
Bian Broccuni conferisce al suo Billy Flynn una seduttività da pifferaio magico, con il sorriso luccicoso a metà tra star del cinema e abile baro al tavolo da poker. Un po’ Rhett Butler, un po’ presentatore di telequiz (come dicevano in un vecchio film). Grande presenza scenica, la sua, ottimo nel canto e nei tempi comici, con trascinante ironia. Anche nel suo caso il ruolo gli sta a pennello.
Devo fare un discorso a parte per il personaggio di Amos Hart, l’infelice marito di Roxy, a cui tocca in sorte uno dei miei pezzi preferiti, Mr Cellophane. Magari non tutti, ma tanti di noi – alzo la mano per prima- ci sentiamo o ci siamo sentiti almeno una volta come Amos, invisibili, non considerati. Perché la visibilità che desidera Amos non è quella della fama, ma semplicemente quella di essere riconosciuto come essere umano. Così Mr Cellophane è un brano che può toccare corde intime e personali in tanti modi diversi e lo ritengo una grande responsabilità per chi lo porta in scena.
Confidavo per questo in Cristian Ruiz e non mi sbagliavo. In una delle migliori interpretazioni della sua carriera, dona al personaggio un’umanità disarmante, una tenera goffaggine a cui non si può resistere. E anche una delicata, commovente dignità. Il momento di Mr Cellophane diventa pura poesia, struggente, arrabbiata. Vale da solo il prezzo del biglietto.
Un altro fiore all’occhiello di questa produzione è di certo la partecipazione di Luca Giacomelli Ferrarini negli elegantissimi panni en travesti della giornalista Mary Sunshine, bella come una diva dei telefoni bianchi e infatuata di Billy Flynn. I commenti che ho letto e sentito sulla sua interpretazione sono un susseguirsi di pazzesco, incredibile, da lasciare senza parole. C’è chi arriva persino a dubitare che sia veramente un uomo a cantare con quella voce strabiliante che tocca note altissime. Dopo tanti ruoli in maggioranza drammatici, finalmente Luca Giacomelli Ferrarini può mettere in risalto il suo lato brillante e riesce ad ammaliare e divertire, divertendosi a sua volta. Ci si innamora della sua Mary. E di colpo si è attratti inesorabilmente dal rosa lampone.
In mezzo a tutti questi performer di prima classe del musical, trovo comprensibile che una seppur brava attrice come Stefania Rocca – che performer di musical non è- si ritrovi in difficoltà. La sua Velma Kelly mi ha dato l’impressione di essere un po’ smarrita, come se fosse una guest star e non una protagonista. A livello canoro e nella danza il divario con gli altri mi è parso evidente, nonostante l’impegno. Preciso che io ho visto lo spettacolo alla sua seconda replica e auspico per lei che Stefania Rocca guadagni in sicurezza e dimestichezza con il tempo, ma la scelta di casting dovuta all’idea di attirare pubblico con un nome “famoso” mi pare sempre un’arma a doppio taglio e forse una consuetudine di molte produzioni su cui sarebbe necessario riflettere. Alla Stage Entertainment va comunque dato atto di puntare sempre su spettacoli che vogliono esaltare la qualità italiana, sia davanti che dietro le quinte. Già per questo si merita un applauso.
E parlando di grande qualità, scelgo l’immagine di un momento particolarmente toccante dello spettacolo per sottolineare la bravura del fantastico ensemble, composto da Pietro Mattarelli, Federica Basso, Giovanni Abbracciavento, Camilla Esposito, Mattia Fazioli, Anna Foria, Alfonso Maria Mottola, Lorissa Mullishi, Kevin Peci, Vittoria Sardo, Andrea Spata, Carolina Sisto, Raffaele Rudilosso, Camilla Tappi, Ilario Castagnola e Veronica Barchielli. Molti di loro arrivano dalle migliori accademie di musical del nostro paese e si vede. Tutti impeccabili e carismatici. Grazie a loro le nuove coreografie di Franco Miseria risultano messe in risalto e molto coinvolgenti. E sì, non sono le classiche coreografie di Bob Fosse, ma, con tutto il rispetto per il grande maestro, quelle di Miseria sono perfette per questa versione, in linea con la sua diversa personalità.
Segnalo anche i costumi di Ivan Stefanutti, le scene di Lele Moreschi, il disegno luci di Francesco Vignati e la traduzione – che non fa rimpiangere i testi originali – di Giorgio Calabrese.
Insomma per me Chicago è promosso e sono contenta che la sua avventura sia solo all’inizio. Il tour proseguirà infatti a Bologna e a Roma, per poi ritornare a Milano da metà dicembre fino a fine gennaio. Quindi, da febbraio ad aprile, sarà la volta delle tappe di Montecatini, Firenze, Torino, Forlì, Lugano (Svizzera), Brescia, Assisi, Pescara, Catania, Palermo, Varese, Parma, Genova e Bolzano.
Vi consiglio di cercare la tappa nella città più vicina a voi e di regalarvi una scintillante serata con questa storia dal cuore nero ricoperto di paillettes.
Il mondo è un circo, come nella realtà, ma almeno in teatro diventa magia.
(Fotografie di Alessandro Pinna e tratte dalle pagine web dello spettacolo e del teatro Nazionale)