《C’è un posto libero laggiù》, aggiunse, indicando l’unico banco vuoto. Il solito banco, quello che era sempre appartenuto a Minerva la pazza. Quello zoppo accanto al muro, in fondo all’aula. Una posizione defilata che permetteva alla classe di voltarsi all’unisono e osservare la malcapitata ogni qualvolta fosse chiamata in causa.
Per chi conosce l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, il nome di Minerva Jones non risulterà nuovo: Minerva era la poetessa del paese, derisa dagli altri per l’aspetto fisico, morta dopo una brutale aggressione, assetata di vita e di amore.
Francesca Borrione prende spunto da questa tragica figura femminile per creare la propria Minerva, collocandola nel New England di fine anni ’80 e trasformandola in una studentessa di liceo bullizzata per la sua diversità, incomprensibile e quindi minacciosa.
Minerva non parla, nessuno sa di preciso perché, si è rasata i capelli, si nasconde. Vive in una villa misteriosa, con il padre, un uomo ancora giovane, che l’ha cresciuta da solo, e che si vocifera sia un gigolò. L’ombra pesante del pregiudizio è su di loro.
Uno spiraglio di luce filtra grazie a William, nientemeno che il golden boy della scuola, il quarterback numero uno, che, quasi per caso, stabilisce una connessione con Minerva. A lui, lei lascia sentire la sua voce. E inizia un cambiamento intimo ed emotivo che coinvolge entrambi, crescendo rapido, come capita a volte agli amori su cui nessuno scommetterebbe mai.
A questo punto si potrebbe pensare di trovarsi di fronte a un classico young adult, con la tipica storia d’amore tra la ragazza sola e incompresa e il ragazzo ricco e popolare. Ma non è esattamente così.
C’è qualcosa di cattivo e maligno in questa vicenda, che colpisce allo stomaco. L’anima oscura del branco, della massa. Qualcosa che leggendo ci si augura sia un’esagerazione romanzesca, un espediente narrativo. Eppure se riflettiamo, se ci guardiamo intorno, se osserviamo i comportamenti di gruppo sui social, diventa evidente che il branco, con la sua ottusa, spietata pericolosità, esiste. E quindi acquista un disturbante realismo anche l’accanimento cieco nei confronti di William, Minerva e suo padre, soprattutto perché è contro il nulla, l’attacco dell’ignoranza ai danni di tutto ciò che si discosta dai binari prestabiliti. Basta poco, troppo poco: una ragazza che non si comporta come le altre, un ragazzo che vuole qualcosa di più della popolarità, un padre troppo giovane e troppo attraente che secondo il pensiero comune non può non avere scheletri nell’armadio.
Non voglio entrare nei dettagli e svelare troppo del libro, anche perché non è il primo lavoro che leggo di Francesca Borrione e una sua peculiarità di autrice è di piazzare sempre una svolta sorprendente ad un certo punto della storia. Minerva la pazza avrà lo stesso destino della povera poetessa di Spoon River da cui prende il nome?
Leggete il libro e lo scoprirete. Francesca Borrione ha uno stile scorrevole e piacevole e questa è di certo la sua opera più matura, a livello emotivo e narrativo. Forse perché io stessa sono stata oggetto di bullismo e pregiudizi, il tema trattato mi ha toccata molto.
Solo un’ultima cosa, cara Francesca: dopo quattro libri ambientati all’estero, mi piacerebbe leggere una tua storia completamente italiana. Che ne dici?
《Ma cosa vuoi capire tu di Minerva Jones. Tu non hai idea》
Edizione LesFlaneurs
Pagine 222