Dalla finestra si vede un sogno

La finestra è pensiero, un sipario, sfogliare di pagine, il finestrino di un treno, uno schermo. Oltre, tante prospettive di libera immaginazione. Racconterò di tutti i sogni che vedo. (*Non faccio uso dell'AI per scrivere gli articoli)

Hypnosis: la mente è una casa maledetta in una palude

La luce non rimane mai a lungo con me – di certo respinta dal buio che ho nell’anima.

Anche se la temperatura di solito è ancora decisamente estiva, quando inizia settembre io entro subito in modalità autunnale e così, quando si è trattato di scegliere la prima lettura di questo mese, sono stata attratta dalla copertina di Hypnosis di Karen Coles, che pareva promettere atmosfere uggiose e gotiche. E in effetti il libro inizia subito con una casa che si dice maledetta, il ricordo di una palude e un manicomio.  Credevo di leggerne solo qualche pagina, per cominciare, e invece è andata a finire che, un capitolo via l’altro, mi sono divorata tutta la storia in un giorno. Non mi capita spesso.

Le infermiere dicono che sono pazza da cinque anni. Lo dicono come se fosse tanto tempo. 《Solo cinque anni?》rispondo. 《Allora dove sono finiti gli altri ventidue?》Loro scrollano le spalle. Non lo sanno, ma non lo so neanche io.

Siamo nei primi del ‘900, nel manicomio di Angelton. Per tutti è Mary ma lei insiste di chiamarsi Maud, non ricorda altro. Sogna di essere inseguita, in notturne acque paludose, e sente di continuo il ticchettare di un orologio e il rintocco tetro di una campana, a volte anche una donna che canta mentre strimpella un pianoforte. La sua vita si riduce alla stanzetta in cui è rinchiusa, intontita dai farmaci. Le attribuiscono un temperamento violento, pare abbia aggredito il direttore, il dottor Womack. Poi arriva un altro medico, il dottor Dimmond (che Maud ribattezzerà Diamond) che comincia a sottoporla a sedute di ipnosi per tentare di riportare alla luce il suo passato e guarirla così dalla follia. L’unico che dimostra di volerla ascoltare e aiutarla. E la memoria di Maud comincia davvero a riaffiorare, come qualcosa che ritorna a galla dal fondo della palude in cui nascosto.

È una fortuna che non riescano a leggermi nella mente, non vedano il fango, lo sporco, i vetri rotti, e le ombre che nascondono Dio sa cosa.

Tutto è narrato solo e soltanto dal punto di vista di Maud e ogni pensiero o ricordo nella sua mente sembra deformato dall’umidità della palude, dall’oscurità del dolore e del senso di colpa. Solo pochissimi lontani frammenti sono alla luce del sole e della gioia. Per il resto ogni cosa è ammantata di ragnatele, circondata da mura ammuffite, abbandonata in luoghi in rovina. Persino l’amore vi compare la prima volta sotto forma di minaccia e resterà sempre in qualche modo intriso di dubbio, macchiato. Le verità che emergeranno da questa desolazione sono abbastanza prevedibili – io perlomeno le ho intuite con largo anticipo – ma il fascino della storia a mio avviso sta proprio nella narrazione di Maud, nel mondo attraverso i suoi occhi, nella sua follia, o presunta tale, che viene restituita con una qualità visiva, fisica, tridimensionale, come se l’universo interiore corrispondesse a quello esteriore. Si entra con Maud dentro gli acquitrini e le stanze dalle finestre sbarrate della sua confusione, delle sue  allucinazioni e della sua  sofferenza.

Non riesco a smettere di fissare quelle creature – per sempre in volo senza arrivare mai.

Nell’ufficio di Dimmond c’è una collezione di insetti intrappolati nell’ambra e Maud ne è attratta, la conducono a sentieri sepolti del passato ma anche alla prigionia di cui è essa stessa vittima. Ed è interessante riflettere sulla facilità con cui in quei tempi si potesse “scomparire” in un manicomio, specialmente se donne e sole. Bastava molto poco, dalla famigerata isteria a semplici disturbi post traumatici, poi l’isolamento, le sedazioni pesanti, le terapie violente conducevano sul serio alla follia. La mente diventava, giorno dopo giorno, una casa sempre più spoglia, sporca, cadente.

Nessuno viene a salvarti. Nessuno è venuto a salvarmi. Mi sono salvata da sola.

Maud si salverà o crederà solo di farlo? Quanto di quello che racconta è reale e quanto è frutto di distorte fantasie?

Ho letto fino alla fine e tuttora ammetto di non esserne sicura. È difficile ricostruire una mente in macerie, circondata dai biancospini e dall’acqua limacciosa della palude. Quanto può sperare di risanarsi un luogo del genere?

Però… però a volte, tra le crepe, nei grigi interstizi, c’è nascosto, custodito con cura, qualcosa di bello e pulito. Qualcosa di salvifico. Un quaderno con i fiori sulla copertina e le pagine bianche, intonse.

* Edizione novembre 2022 Neri Pozza Superbeat

* Titolo originale: The Asylum

*Traduzione di Luigi Maria Sponzilli

*Pagine 288

Lascia un commento